Monsignor Galantino: “tutto il sapere della fede potrà trovare fecondi sviluppi, se porrà mano all’aratro della povertà”

Bisogna passare da una “ragione opulenta” a una “ragione povera”: dove la  “ragione povera” non si indentifica con il “pensiero debole” o con la “debolezza del pensiero”, ma ha a che fare con  la “metafisica umile”, in cui “il povero – come opportunamente ci ricorda l’Evangelii gaudium – viene percepito e pensato come un vero e proprio luogo teologico o categoria teologica, in quanto ci pone di fronte all’umano nella sua nudità esistenziale ed ontologica, al di là dei ruoli, delle maschere, delle sovrastrutture che spesso coprono, quando non stravolgono, l’umano autentico che è in noi e che scopriamo soprattutto nella nostra povertà”. Ne è convinto monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che, intervenendo al convegno nazionale delle facoltà teologiche e Issr italiani, ha affermato che “non solo la teologia nella sua valenza pratica, ma tutto il sapere della fede potrà trovare fecondi sviluppi, se porrà mano all’aratro della povertà e porrà attenzione alle nuove forme di essa che la nostra società riesce ad inventare a partire dalle ingiustizie che viene a perpetrare”. “Nel 2018 – ha ricordato Galantino ai teologi – celebreremo i venti anni dalla Fides et ratio e dovremo necessariamente chiederci che senso abbia oggi lavorare a una sempre rinnovata armonia tra fede e ragione, che non può ignorare la più profonda e radicale armonia o alleanza tra fede e azione”.

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