Siria: card. Parolin, “mancata volontà politica non tanto di affrontare il problema quanto di risolverlo”

“Dopo cinque anni di conflitto si deve dire, sfortunatamente, che la voce della violenza, accompagnata dalla mancanza di volontà nel cercare una soluzione politica, è stata più forte di quella del diritto delle popolazioni più povere. È mancata la volontà politica non tanto di affrontare il problema quanto quello di risolverlo”. La denuncia è del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, contenuta in un testo inviato ai partecipanti al quinto incontro, promosso da Cor Unum, degli organismi caritativi cattolici che operano nel contesto della crisi umanitaria in Siria e Iraq, in corso a Roma. “Pur essendo nato come un conflitto politico, quello nella regione ora ha preso delle connotazioni diverse – scrive il cardinale nel suo messaggio letto in aula da monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati – la persecuzione dei cristiani e delle altre minoranze è uno dei fenomeni più gravi legati alla nascita del cosiddetto Califfato che ha esteso le sue ramificazioni in altri Paesi della Regione. Tutto deriva da una visione fondamentalista della religione che è inaccettabile”. I rappresentanti di tutte le fedi -, ha ribadito il porporato – sono chiamati a rifiutare la violenza, estranea allo spirito della religione. La Santa Sede considera il dialogo interreligioso uno strumento sempre più necessario se vogliamo camminare verso una coabitazione rispettosa e civilizzata”. Lo stesso vale per un altro “fattore problematico” legato alla crisi nella regione, “il flusso migratorio e i rifugiati”. Una questione che secondo il cardinale va affrontata “in modo non ideologico, tenendo conto del fattore di urgenza e di quello di un eventuale ritorno nel Paese di origine o dell’integrazione nel Paese di accoglienza”. Quindi occorre “garantire l’assistenza agli sfollati, in particolare quelli nei campi che sono i più deboli, donne, bambini, anziani, minoranze etniche”. Per la Santa Sede, tuttavia, i campi “devono rivestire un carattere temporaneo e non prolungarsi nel tempo. Agli sfollati deve essere accordato il diritto al ritorno nel loro Paese di origine, in dignità e sicurezza”. Non meno importante, infine, è la prospettiva di “una vera integrazione, l’elaborazione di un reale ‘progetto di vita’ così che le persone sfollate possano sentirsi responsabili verso il Paese che li ha ospitati”.

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