Papa Francesco: ai catechisti, “l’insensibilità scava abissi”, i cristiani non sono “profeti di sventura”

foto SIR/Marco Calvarese

“L’insensibilità di oggi scava abissi invalicabili per sempre. E noi siamo caduti, in questo momento, in questa malattia dell’indifferenza, dell’egoismo, della mondanità”. A lanciare il grido d’allarme è stato il Papa, nell’omelia della Messa celebrata ieri in piazza San Pietro per il Giubileo dei catechisti. “La mondanità è come un ‘buco nero’ che ingoia il bene, che spegne l’amore, perché fagocita tutto nel proprio io”, ha spiegato: “Allora si vedono solo le apparenze e non ci si accorge degli altri, perché si diventa indifferenti a tutto”. “Chi soffre questa grave cecità – ha ammonito Francesco – assume spesso comportamenti ‘strabici’: guarda con riverenza le persone famose, di alto rango, ammirate dal mondo, e distoglie lo sguardo dai tanti Lazzaro di oggi, dai poveri e dai sofferenti che sono i prediletti del Signore”. “Chi vive per sé non fa la storia. E un cristiano deve fare la storia! Deve uscire da sé stesso, per fare la storia!”, ha esclamato il Papa: “Come servitori della parola di Gesù siamo chiamati a non ostentare apparenza e a non ricercare gloria; nemmeno possiamo essere tristi o lamentosi”. “Non siamo profeti di sventura che si compiacciono di scovare pericoli o deviazioni”, ha proseguito a proposito dell’identità dei cristiani: “Non gente che si trincera nei propri ambienti, emettendo giudizi amari sulla società, sulla Chiesa, su tutto e tutti, inquinando il mondo di negatività. Lo scetticismo lamentevole non appartiene a chi è familiare con la Parola di Dio”. “Chi annuncia la speranza di Gesù è portatore di gioia e vede lontano, ha orizzonti, non ha un muro che lo chiude”, l’identikit di Francesco: “Vede lontano perché sa guardare al di là del male e dei problemi”. Al tempo stesso, il cristiano “vede bene da vicino, perché è attento al prossimo e alle sue necessità”. “Dinanzi a tanti Lazzaro che vediamo – l’invito finale del Papa – siamo chiamati a inquietarci, a trovare vie per incontrare e aiutare, senza delegare sempre ad altri o dire: ‘Ti aiuterò domani, oggi non ho tempo, ti aiuterò domani’. E questo è un peccato. Il tempo per soccorrere gli altri è tempo donato a Gesù, è amore che rimane: è il nostro tesoro in cielo, che ci procuriamo qui sulla terra”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Italia

Informativa sulla Privacy