Storia: Gino Bove, sopravvissuto a Cefalonia, portò la fede in un campo di prigionia. Un volume ne ricorda la vicenda

“Cefalonia. Da sempre in casa nostra è risuonata questa parola misteriosa. Non sapevo e non capivo cosa significasse. Ancora bambina, ho scoperto che era una località, poi che era un’isola greca… Eppure in quel luogo, teatro di eventi tragici per i soldati italiani, mio padre aveva vissuto per due anni durante la guerra”. È Luisa Bove, giornalista professionista in forza ai periodici e testate online della diocesi di Milano, a raccontare un aspetto inedito, familiare, della vicenda di Cefalonia, dove, nel settembre 1943, persero la vita migliaia di militari italiani per mano degli ex alleati nazisti. Il padre di Luisa Bove, Luigi (detto Gino), sopravvisse alla strage, per poi finire deportato, con altri italiani, sul continente. La giornalista ha ora messo nero su bianco i ricordi nel volume “Il giorno in cui mio padre non morì. Storia di un sopravvissuto all’eccidio di Cefalonia” (editrice In dialogo), che viene presentato il 27 settembre nel capoluogo lombardo, presso il Centro Schuster di via Sant’Antonio 5 (ore 18.30). Saranno presenti, oltre all’autrice, Giorgio Vecchio, storico, che firma la prefazione del libro, Silvia Landra, presidente dell’Azione cattolica ambrosiana, Francesco Mandarano, vicepresidente Associazione Divisione Acqui-Milano.
Fatto prigioniero a Cefalonia, dopo varie vicissitudini Gino Bove verrà poi tradotto in treno – un viaggio di quasi un mese – in un campo di detenzione in Bielorussia. Qui forma un gruppo di preghiera, raccogliendo attorno a sé, diversi soldati. Nella prefazione, Vecchio scrive: “C’è una notizia, in questo libro, che mi ha molto colpito e voglio sottolinearla subito. Estate 1945: nel campo di Sluck, in Bielorussia, si ritrovano numerosi militari italiani deportati dai nazisti dopo lo sfascio del Regio esercito l’8 settembre 1943 e ora nelle mani dei vittoriosi sovietici, in attesa del rimpatrio. Tra di loro c’è Gino Bove, il padre dell’autrice di queste pagine”. Con i suoi “compagni di sventura egli mette in piedi un’associazione di Azione cattolica, della quale custodirà gelosamente la lista degli aderenti” (la si può consultare in appendice al libro). “Sapevo – aggiunge lo storico – di tanti gruppi informali di preghiera, di recita del Rosario o di lettura dei Vangeli nei lager destinati ai nostri internati militari, ma questa è decisamente la prima volta che mi capita di leggere della volontà di costituire una vera e propria associazione, inevitabilmente provvisoria e altrettanto inevitabilmente dal carattere nazionale e non parrocchiale”.

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