“Murì pe campà”. Una canzone neomelodica scritta per raccontare le morti bianche all’Ilva di Taranto, risuonava nella piazza di Roccaforzata, dove si sono conclusi da poco i funerali di Giacomo Campo, operaio dell’indotto Ilva, morto sabato mattina a 25 anni, mentre puliva un nastro trasportatore. Il ragazzo è rimasto schiacciato tra il rullo ed il nastro ma le cause e le responsabilità sono ancora tutte da chiarire, mentre la Procura ha emesso 12 avvisi di garanzia per il direttore generale della fabbrica, alcuni capi area e responsabili della Steel Service, dove Giacomo lavorava. L’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, era fuori sede ma è tornato in fretta per poter celebrare i funerali del giovane. “Tante le parole dette e ascoltate in questi giorni. Parole sì necessarie e doverose per non peccare di omissione o, peggio ancora, di indifferenza – ha sottolineato durante l’omelia – ma purtroppo parole che arrivano a orecchie e cuori stanchi di ascoltare, perché esasperati dal riproporsi, ciclico, dall’assurdità, di questo prezzo da pagare in vite umane. Un tributo insostenibile e ingiusto: Taranto non ne può più! Il lavoro è per la vita, non per la morte! La compassione di Dio, non è un vago sentimento di pena. Nella Bibbia la compassione, la commozione di Dio, è un fremito profondo, è la scossa di un legame non di chi si immedesima nel dolore ma di chi il dolore lo sente tanto quanto lo subisce. Sto dicendo che Dio qui ed ora, non è spettatore di un dramma, ma soffre con noi, con la famiglia di Giacomo. Dio è Padre e non vuole la morte dei figli. Non è un ineluttabile destino quello che ha falciato la vita del nostro fratello. Non accompagniamolo solo con le lacrime ma con la nostra sete di vita e di giustizia”.