Venezuela: mons. Ochoa (Cúcuta, Colombia), “cerchiamo di stare vicini in tutti i modi”

“Cerchiamo di stare vicini in tutti i modi” a chi dal Venezuela attraversa la frontiera per raggiungere la Colombia. Con queste parole monsignor Víctor Manuel Ochoa Cadavid, vescovo della diocesi colombiana di Cúcuta, testimonia l’impegno e la vicinanza verso i venezuelani che giungono nella sua città, anche solo per una piccola spesa. La frontiera tra Venezuela e Colombia nello scorso fine settimana è rimasta chiusa, contrariamente a quanto accaduto nei weekend precedenti. Le prime erano state 500 donne che, sfidando l’esercito, avevano attraversato il Puente Santander, sul rio Tachira, ed avevano fatto spesa nella città di Cúcuta. L’esercito le aveva lasciate fare, nonostante la frontiera sia chiusa dall’agosto 2015 per decisione del presidente venezuelano Maduro. Sette giorni dopo il ponte è stato attraversato da 60mila persone, e nel fine settimana successivo da 120mila.
“Ho visto persone stare in coda per comprare solo un chilo di riso”, afferma mons. Ochoa che, da quando ha fatto il suo ingresso a Cúcuta circa un anno fa, ha già dovuto affrontare due emergenze umanitarie. “Lo scorso agosto ci fu la chiusura della frontiera e l’arrivo di 31 persone, fuggite o deportate, in gran parte colombiane ma anche venezuelane”, ricorda il vescovo. “Ora fronteggiamo questo esodo. 6 miliardi di pesos colombiani (10 milioni di euro, ndr.) spesi in una domenica”, prosegue mons. Ochoa, per il quale “lo stesso mercato colombiano fatica a reggere l’urto; molti prodotti vengono convogliati verso la frontiera”. “Gran parte delle persone fanno ritorno in Venezuela in giornata – aggiunge – ma ci sono delle eccezioni, come malati e donne venezuelane incinte”. Significativo l’impegno della Chiesa: “gestiamo 2mila buoni pasto da circa 39mila pesos” (11 euro) per le persone che hanno lasciato in questi mesi il Venezuela. Inoltre, mons. Ochoa si sta adoperando con monsignor Mario Moronta, vescovo della confinante diocesi venezuelana di San Cristobal, per la riapertura definitiva della frontiera: “È un confine di gesso, siamo uno stesso popolo”.

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