Dialogo interreligioso: Segre (storico) al Sae, “di grande aiuto l’interlocuzione con amici cristiani”

Stamattina, nella prima giornata di lavori della 53ª sessione di formazione ecumenica del Segretariato attività ecumeniche (Sae), in corso a Santa Maria degli Angeli, ad Assisi, al tema “Di generazione in generazione” hanno dato voce lo storico e saggista Bruno Segre, l’editore Daniel Vogelmann e l’organizzatrice di eventi culturali Micol Anticoli, moderati da Piero Stefani. “Il mio retroterra familiare era composto di ebrei non religiosi, cosmopoliti e antifascisti”, ha detto Bruno Segre. “Nacqui nell’Italia fascista e non ricevetti alcuna educazione religiosa. Mi confrontai per la prima volta con la mia ebraicità all’età di otto anni, quando le leggi razziali mi costrinsero a lasciare la scuola e mi sottrassero alla frequentazione dei coetanei”, ha raccontato. La scomparsa prematura del padre nel 1941 e la ricerca di un rifugio nell’Italia centro-meridionale, per evitare la deportazione dopo l’8 settembre 1943, furono gli eventi di maggior peso che segnarono il suo vissuto durante la II guerra mondiale. Superato quel tragico periodo, riprese nel corso degli anni a porsi domande sul significato del suo essere ebreo: “E così mi trovai a fare i conti con il classico problema dell’identità: un tema che, qualificandomi come ebreo non religioso, ho vissuto e vivo in chiave libertaria, cioè nei termini di una ricerca mai esaurita di libertà e di autonomia d’azione e di pensiero, che ritenevo di poter condividere con molti altri membri di una minoranza storicamente ‘scomoda’, dispersa e a lungo demonizzata e oppressa. Di qui il mio innamoramento per il progetto sionista, che nella sua formulazione originaria era radicalmente secolare; di qui, anche l’appassionato studio di momenti e aspetti significativi della storia e della cultura ebraica”. E, ha aggiunto, “andai così scoprendo per gradi l’enorme ricchezza e la dimensione straordinariamente plurale della cultura degli ebrei, avviando un percorso che con l’andar del tempo mi ha portato a individuare, in ambito ebraico, una dimensione di ‘laicità’ declinata in positivo, costruttivo, e a mettere quindi a fuoco una visione pluralista, aperta, inclusiva della nostra cultura”. In questo percorso. ha sottolineato, “mi è stata di grande aiuto l’interlocuzione con amici cristiani interessati come me alla pratica del dialogo. Ciò, in particolare, nei decenni successivi al Concilio Vaticano II e grazie agli esiti profondamente innovativi di tale Concilio”. Su un altro versante, “avendo a lungo presieduto l’Associazione degli Amici italiani di Nevé Shalom/Wahat al-Salam, ho avuto modo di osservare dall’interno e di cogliere con sempre maggiore precisione gli aspetti salienti del tragico irrisolto conflitto tra israeliani e palestinesi, confermandomi nella mia antica adesione allo spirito libertario del progetto sionista, alimentando in me quel senso di profonda amarezza che provo al cospetto delle violente derive nazional-clericali cui le due contrapposte debolissime dirigenze politiche stanno ora affidando le sorti dei rispettivi popoli”.

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