“Come cristiani respingiamo fermamente la tendenza alla normalizzazione e, di conseguenza, alla banalizzazione della morte provocata dall’essere umano”, si legge in “Il suicidio degli anziani: una sfida”, studio di Justitia et Pax Svizzera, presentato a Berna. “La morte diventa sempre più un progetto” e “non si affida più al destino né come né quando” morire: di fatto c’è l’idea di “una vita condotta razionalmente fino alla morte, che non lascia più spazio all’inatteso”. Per i cristiani invece “la dipendenza dagli altri non è una tara, ma un aspetto fondamentale della condizione umana, così come la frammentarietà e l’imperfezione” della vita. È per questo che il documento, nell’elenco di “Raccomandazioni rivolte alla società”, evidenzia che la “morte deve di nuovo essere compresa come parte della vita” e come “evento sociale”. La società “non ha il diritto di escludere gli anziani”, ma deve dare un “migliore riconoscimento alla cura” che i parenti prestano agli anziani e morenti. Alla Chiesa si raccomanda di trovare “risposte nuove e credibili alla ricerca di una buona morte”; di farsi “avvocato degli anziani e dei deboli”; anche lei deve “impegnarsi maggiormente nell’ambito delle cure palliative” e parlare più spesso di vita e di morte, pensando “nuove forme di offerta pastorale” per accompagnare gli anziani. Quanto al sistema sanitario si chiede di “estendere l’offerta delle cure palliative”, continuando “a esplorarne le possibilità e i limiti”.