Cop: mons. Sigalini (presidente), “anche in parrocchia avviare processi”

“Il futuro della parrocchia sta nella qualità del legame che si stabilisce tra le persone e il prete, tra le persone che abitano il territorio, tra le persone e gli abitanti occasionali. Si può assolutamente riprendere la cura animarum come vigilanza su di se, sull’altro, sul regno di Dio nel mondo”. È il pensiero offerto da monsignor Domenico Sigalini, , vescovo di Palestrina e presidente del Centro di orientamento pastorale, nelle prospettive pastorali a conclusione della 66ª Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, iniziativa del Cop tenutasi a Foligno. “Non c’è nessuno oggi disposto a dare definizioni o strade perfette di reinvenzione della forma canonica di una comunità cristiana, ma si possono avviare processi come spesso ci insegna Papa Francesco – ha osservato il presule -: sognare metafore che allargano l’orizzonte; non muri, ma ponti che collegano e tolgono dall’isolamento, che è sempre tentazione pericolosa per ciascuno; abitare alcuni spazi antropologici che ci si parano necessari e evidenti davanti agli occhi: i poveri, le metropoli, le periferie, i luoghi di pensiero, di provocazione, di coinvolgimento non settario contro finanze, pensiero unico, cultura consumistica, adattamento al ribasso che provoca assenza di rappresentazioni, che non permettono più ai molti di individuare la stessa comunità cristiana”.
Ancora, “presenza di testimoni, operatori di misericordia, doni di riconciliazione, solidarietà a tutto campo, accoglienza naturale di famiglie aperte e disponibili a giocarsi modi diversi di vivere assieme fuori dai loculi dei condomini”. E poi “creare rappresentazioni nuove reinterpretando le vecchie che sono patrimonio di generazioni ancora attive. Si tratta di rappresentazioni di luoghi, di chiese, di oratori, di spazi di comunione, di esperienze caratteristiche come luoghi popolati da ragazzi seguiti con passione da giovani (grest, campiscuola), esperienze aggregative aperte (associazioni, movimenti, nuove comunità evangelizzatrici), apertura alle missioni ad gentes, solidarietà di famiglie con gli immigrati…”. Per tutto questo serve “un prete che crea continui legami con la gente; vive la fede come fondamento integrante del suo essere; culturalmente maturo, abile nel rammendo, nella paziente ricostruzione delle realtà; capace di spiegare le ragioni della sua fede in ogni contesto; povero per virtù; legato nella sua vita alla vita delle famiglie”.

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