Università: Anvur, luci e ombre su sistema atenei e ricerca italiano

(DIRE-SIR) – Un rapporto luci e ombre quello stilato dall’Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) sullo stato dell’università e della ricerca italiana. Lo studio biennale è stato presentato oggi nell’auditorium di viale Manzoni a Roma e ha descritto le caratteristiche del sistema universitario e degli enti di ricerca nella loro evoluzione temporale. Ovvero, l’offerta formativa negli atenei, il corpo docente, le carriere degli studenti, la struttura del finanziamento pubblico e privato e la situazione dei laureati e il mondo del lavoro. Un ”incrocio” di dati che ha permesso una fotografia del sistema dettagliata, mettendo in evidenza il grande cambiamento a cui è sottoposto. Questi alcuni degli aspetti positivi evidenziati: – calo dell’arresto degli immatricolati registrato negli ultimi anni, con un’inversione di tendenza nell’ultimo anno che ha portato a un incremento dell’1,6% del numero di iscritti (del 2,4% tra i giovani con età pari o inferiore a 20 anni). Il numero degli immatricolati è cresciuto soprattutto al Nord con +3,2% (4,1% sotto i 20 anni) ma ha avuto un miglioramento anche nel Mezzogiorno con +0,4% (+0,8% sotto i 20 anni); – migliore regolarità dei percorsi di studio, grazie a un aumento dei laureati in tempi previsti e una diminuzione degli abbandoni. Nell’anno 2014/2015 dopo 11 anni dall’iscrizione risulta che il 57,8% degli studenti si è laureato, il 38,7% ha abbandonato e il 3,5% ancora iscritto. I tassi di abbandono più bassi si registrano nei corsi a ciclo unico, in particolare nelle aree di Farmacia e Medicina e chirurgia (che sono ad accesso programmato), con una percentuale di abbandono intorno al 6-7%.
Da segnalare invece l’altissima percentuale di abbandoni tra gli studenti provenienti da un istituto professionale: dopo 3 anni di corso triennale abbandona l’università tra il 44% e il 48% degli iscritti; – aumento della mobilità tra atenei in tutto il Paese: la quota di quanti studiano fuori regione è salita dal 18% del 2007/2008 al 22% nel 2015/2016. Della maggior mobilità hanno tratto beneficio al Nord soprattutto gli atenei del Piemonte, dove l’incidenza di studenti fuori regione è salita dal 12% al 26% tra il 2007/2008 e il 2015/2016. La quota di residenti nel Mezzogiorno che s’immatricolano in un ateneo del Centro-nord è salita da circa il 18% della metà dello scorso decennio al 24%; – buoni risultati per quel che riguarda la produzione scientifica nonostante la diminuzione di fondi a disposizione.
Per quel che riguarda i ricercatori, la produttività italiana nel quadriennio 2011-2014 è pari ai livelli della Francia e superiore a quella della Germania; – crescita della presenza femminile tra i docenti: dal 1988 a oggi è passata da 26 a 37 donne ogni 100 docenti (la quota media dei paesi OCSE è 42). Dal 2007 al 2015 la quota delle donne tra gli ordinari è passata dal 18,5 al 21,6%; tra gli associati è salita dal 33,6 al 36,5% e tra i ricercatori dal 45,1 al 46,5%.
Secondo il rapporto infine, va rilevata la capacità complessiva del sistema italiano di erogare una didattica di qualità gestendo al contempo un alto rapporto studenti/docenti, con una spesa pro-capite relativamente contenuta. Quindi le criticità: – Nonostante una costante crescita osservata negli ultimi anni, l’Italia rimane tra gli ultimi paesi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo d’istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane (24% contro 37% della media UE e 41% media OCSE nella popolazione 25-34 anni); – carenza cronica di risorse e eterogeneità delle stesse (tra regioni e, all’interno delle stesse regioni, tra atenei) nei requisiti di accesso e nei tempi di erogazione dei benefici, di incertezza circa la permanenza del sostegno da un anno all’altro.
Alcune regioni, oltre a non investire risorse proprie, hanno utilizzato i fondi destinati agli interventi a favore degli studenti capaci e meritevoli per altre finalità; – incertezza nelle prospettive di carriera accademica da cui scaturiscono fenomeni come: l’abbandono della carriera da parte di molti dottori di ricerca e assegnisti che non possono permettersi lunghi periodi d’insicurezza retributiva, la ”fuga dei cervelli” in proporzioni superiori a quelle fisiologiche, ovvero senza un corrispondente flusso di ricercatori in arrivo dalle istituzioni estere, la sofferenza di molti giovani che vivono con difficoltà gli anni più produttivi della loro vita scientifica; – riduzione del corpo docenti a seguito dei pensionamenti, solo parzialmente colmata dall’ingresso di ricercatori a tempo indeterminato. Dalla fine degli anni Novanta a oggi il personale docente di ruolo è cresciuto a ”campana”, è aumentato senza soluzione di continuità raggiungendo un livello massimo nel 2008 (62.538 assunti) e successivamente è sceso del 12% fino al 2015 (54.977), a seguito dei provvedimenti di blocco del turnover; – aumento del divario tra atenei delle diverse macroregioni del paese, anche a causa della lunga assenza di politiche che mirassero a incoraggiare una convergenza, prima di tutto qualitativa, nella ricerca come nella didattica; – quota del Pil dedicata alla spesa in ricerca e sviluppo molto inferiore rispetto alla media degli altri paesi dell’Unione europea e dell’Ocse: con l’1.27% l’Italia si colloca solo al 18° posto (con una quota uguale alla Spagna) tra i principali paesi Ocse con valori superiori solo a Russia, Turchia, Polonia e Grecia, ma ben al disotto della media dei paesi Ocse (2,35%) e di quelli della comunità europea (2,06% per Ue 15 e 1,92% per Ue 28).
“Negli ultimi anni- ha dichiarato Daniele Checchi, membro del Consiglio Direttivo ANVUR e coordinatore del Rapporto- l’università e la ricerca italiane si sono sottoposte, anche grazie alle misure e alle norme varate dai diversi governi, a procedure trasparenti di valutazione e responsabilizzazione, come nessun altro ambito della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, negli ultimi dieci anni questo impegno non sempre ha trovato un adeguato sostegno nelle politiche pubbliche, soprattutto dal punto di vista delle risorse a disposizione, decisamente insoddisfacenti se rapportate al contesto internazionale. Basti a questo proposito ricordare la riduzione del Fondo di Finanziamento ordinario: solo negli ultimi due anni la ripartizione delle risorse ha mostrato i primi timidi segnali di miglioramento, spesso più nella composizione qualitativa che in termini assoluti”.

(www.dire.it)

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