Monsignor Galantino: “da pastorale delle strutture a pastorale delle persone”. Opzione poveri dice qualità Chiesa

Il discernimento “ha come fine il perdono”, e dovrà tendere “al giudizio sull’amore, secondo il detto evangelico” per “discernere le espressioni amative autentiche rispetto a quelle superficiali o di convenienza”. Un cammino “lungo e faticoso” che “andrà vissuto nella comunità ecclesiale, attraverso percorsi di autentica e profonda formazione delle coscienze, ma anche rispetto alle persone nella direzione spirituale e nel sacramento della riconciliazione”. Lo ha detto monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, aprendo oggi a Monteporzio Catone (Roma) il simposio sull’“Amoris Laetitia”. Proprio il ricorso al “discernimento consentirà il passaggio da una pastorale delle strutture a una pastorale delle persone, sulla quale si gioca il nostro futuro”. Richiamando il monito del Papa a Firenze sui rischi dello gnosticismo, Galantino ha sottolineato l’urgenza di revisione di “una cultura” sempre più segnata da “foga illuministica” e sempre meno attenta alla “qualità umana del sapere”. Quando Francesco “afferma che ‘per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica’ (Evangelii gaudium, 198), indica una strada che la Chiesa deve percorrere e che la obbliga a considerare i poveri e l’opzione per i poveri come il vero criterio dell’ortodossia cristiana e il vero discrimine per decidere ciò che è cristiano. Non si tratta cioè di fare qualcosa ‘per’ i poveri quanto di arrivare a decidere a partire dalla opzione per i poveri la qualità del nostro essere Chiesa di Cristo”. Se preso sul serio, lo stile che “in maniera inequivocabile ci deriva dalle parole di Papa Francesco”, conclude mons. Galantino, mette in luce “il tragico di un cristianesimo” che “rischia di mancare di ‘esercizio’” e nel quale “si fa fatica ad accomunare pratica e grammatica”. Di qui la necessità di “una teologia capace di trasformare la storia in pensiero alto, che non vuol dire disincarnato”, capace di “insegnare che a nessuna affermazione sul soprannaturale è preclusa la possibilità di indicare un ordine di referenza naturale”.

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