Assistenza domiciliare: Grosso (Gruppo Abele), “esempio più alto di integrazione sanitario-sociale”

“L’intervento domiciliare è forse l’esempio più alto di integrazione tra ambiti sanitario e sociale, perché l’operatore a domicilio è la persona più in grado di cogliere la complessità della problematica del paziente e costruisce un rapporto di fiducia con lui”. Lo ha detto Leopoldo Grosso, vice presidente del Gruppo Abele, intervenuto al convegno sull’assistenza domiciliare in corso a Roma presso l’Istituto superiore di sanità. Sottolineando “l’intreccio a stringa di scarpa tra sociale e sanitario”, Grosso ha affermato che la funzione della relazione con l’operatore è centrale per costruire progetti possibili, “l’operatore diventa chiave di garanzia dei diritti dell’assistito”. Aiuto concreto e relazione stessa: questi i due aspetti – materiale e immateriale – in sinergia. “Certo i tagli su entrambe le dimensioni (sui materiali, ad esempio le garze, e sui tempi trascorsi dagli operatori con le persone) non aiutano”. Si tratta di “percorsi spesso impervi nei quali bisogna imparare l’arte di farsi accettare, solo così si aprono spiragli di cura”. Importante “la mediazione con i familiari perché la malattia può anche dividere”. Il primo verbo è allora osservare: “in punta dei piedi, con rispetto, senza giudicare, ascoltando e vigilando perché le relazioni familiari non sempre sono sane”. Occorre “mantenersi aperti alla speranza, far parlare il non detto”. Quindi prospettare, ossia “sviluppare insieme proposte per la migliore qualità della vita possibile”. Infine progettare per la costruzione comune di un progetto “coinvolgendo tutti i servizi necessari”. Tre, ha concluso Grosso, le dimensioni dell’intervento in casa: sanitaria, sociale, educativa.

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