Giustizia: padre Occhetta, “se anche nelle carceri non riprendiamo la dimensione spirituale, chi fa il male non lo può capire”

“Saranno i giovani a custodire un’idea di giustizia umana. Per questo ho scritto questo libro pensando a loro, perché – come diceva Primo Levi – quello che si dimentica potrebbe ritornare”. Lo ha affermato questa mattina padre Francesco Occhetta, presentando al Salone del Libro di Torino il suo ultimo volume “La giustizia capovolta” (Paoline). “Rimettiamo al centro il dolore delle vittime e ricostruiamo per chi ha sbagliato percorsi umani”, ha proseguito il gesuita, per il quale “se anche nelle carceri non riprendiamo la dimensione spirituale, chi fa il male non lo può capire. Invece dobbiamo aiutare chi ha sbagliato a capire il bene e il male che hanno fatto”. Questa convinzione nasce dall’esperienza del carcere di Nuova Dehli che lo stesso Occhetta ha studiato. “La direttrice del carcere – ha spiegato – ha voluto riscoprire la dimensione antropologica della vita dei detenuti per uscire da una situazione nella quale si aveva con 10mila carcerati una recidiva del 90%”. Inoltre “se noi facciamo reincontrare chi ha sbagliato e chi ha sofferto per i loro sbagli, anche le nostre relazioni umane cambiano, la nostra solitudine svanisce”. “Il libro – ha concluso padre Occhetta – indica come dalla Bibbia viene questa istanza, che non è uno zuccherino, ma aiuta ad integrare l’altro modello di giustizia e ci aiuta a costruire una cultura nella quale ci ri-conosciamo senza conoscerci e possiamo sperare in una pace e in una giustizia che il nostro Paese aspetta da troppo tempo”.

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