Comunicazione: mons. Fallah Borwah (Liberia), “La preghiera è il mezzo più importante in Paesi difficili come il mio”

“In Liberia, la guerra civile è durata 15 anni e ha generato tantissima sofferenza. Per di più, mentre tentevamo di riprenderci due anni fa è scoppiata l’epidemia del virus Ebola. Durante questi anni la voce della Chiesa si è fatta sentire con molta forza attraverso la comunicazione di massa, in particolare con la radio”. Così ha parlato del suo Paese, Anthony Fallah Borwah, vescovo di Gbarnga in Liberia, durante il quarto panel organizzato dalla Pontificia università della Santa Croce, intitolato “Chiesa e comunicazione: l’esperienza dei cristiani in contesti difficili”, inserito all’interno della decima edizione del seminario per gli uffici di comunicazione della Chiesa. “La Chiesa cattolica – ha proseguito – è oggi coinvolta nel processo di riconciliazione dopo la guerra, entrando in dialogo con popoli e culture diverse. Molta gente di fede cattolica ha perso la vita – ha ricordato il vescovo -. Lo stesso martirio è un grande mezzo di comunicazione e la preghiera è lo strumento più potente perché attraverso la preghiera la gente trova unità. Per 90 giorni consecutivi, infatti, la mia gente ha pregato il rosario durante la crisi dell’ebola. Per questo, per me, la preghiera è il mezzo più importante in Paesi difficili come il mio”. “Noi vescovi da poco siamo riusciti a riunire le forze e iniziato a parlare con un’unica voce. Durante la guerra – ha aggiunto – sono stato direttore per 10 anni di una stazione radiofonica che tuttora ha l’obiettivo di informare e dire la verità. Per questo più volte è stata minacciata di chiusura e i suoi giornalisti di morte. Ma in assenza di elettricità e senza media sofisticati, per un popolo che ha perso ogni speranza nel genere umano una radio come la nostra, anche oggi, può aiutare”. “La presenza della Chiesa in un contesto di guerra richiede più delle parole. La vicinanza alla gente fa la differenza, più di qualsiasi altro mezzo di comunicazione. La gente ha bisogno di essere ascoltata e raccontare le proprie storie di violenza”, ha concluso.

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