Natale 2016: mons. Sanguineti (Pavia), “se ridotto a festa di buoni sentimenti o a gesti quasi obbligati, non dice nulla”

“Se non vogliamo ritrarci in uno spazio privato, chiudendo gli occhi di fronte a ciò che sta accadendo, non possiamo non chiederci che senso abbia il Natale 2016 e che cosa abbia da dire al nostro oggi, a noi che stiamo vivendo un momento delicato nella vita del nostro Paese e che avvertiamo nel nostro territorio e nella nostra città i segni di una crisi non ancora pienamente superata”. È quanto esprime il vescovo di Pavia, monsignor Corrado Sanguineti, nel messaggio pubblicato dal settimanale diocesano “Il Ticino” in occasione delle festività natalizie. “Che ha da dire il Natale a coloro che non hanno un lavoro o sono incerti sul loro futuro? Alle famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese? Ad anziani e pensionati che vivono con poche risorse?”, si chiede Sanguineti. Inoltre, prosegue il vescovo, “possiamo pensare ai terremotati del Centro Italia, ai tanti profughi e migranti, ai popoli che, ormai da anni, vivono nel sangue della violenza, della guerra, del terrorismo”. “Che ha da dire il Natale alla città martire di Aleppo? Ai cristiani che, con altre minoranze, conoscono persecuzioni, discriminazioni, ingiustizie?”, domanda Sanguineti. “Mi pare evidente che un Natale, vissuto solo ripetendo, un po’ meccanicamente, certi suoi ‘riti’, anche religiosi, non abbia nulla da dire a uomini e a donne che si ritrovano a vivere drammi personali e sociali”, osserva il vescovo, invitando “a sfrondare la festa del suo contorno e a ritrovare l’essenziale”. “La dignità e la speranza che sanno custodire i cristiani di Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan, e di tanti altri luoghi di martirio – rileva il vescovo – sono una potente testimonianza, alla quale guardare, per non essere complici dell’assordante silenzio che circonda questi fratelli, e per il nostro bene”. “Perché in fondo, un Natale ridotto a festa dei buoni sentimenti e a un insieme di gesti quasi obbligati, non dice nulla o dice poco a ciascuno di noi, a ogni uomo, anche se si trovasse nelle migliori condizioni di famiglia, lavoro e salute”.

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