Cardinale Bagnasco: ai giornalisti, “siamo un impasto di terra e di cielo”

“Siamo un impasto di terra e di cielo, una meravigliosa sinfonia incompiuta”. È l’identikit dell’uomo, di ciascuno di noi, così come è stato tracciato dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che ieri sera, a Roma, presso la basilica dei Santi Quattro Coronati, ha incontrato i giornalisti per un momento di preghiera in preparazione al Natale. “Ciò che ci definisce in profondità è questo impasto drammatico e magnifico insieme”, ha spiegato il cardinale sulla scorta del Salmo 8: “Siamo questo paradosso, questo impasto di luce e di ombra, un anelito di cose sublimi e fragilità non solo fisica, ma morale”. “Chi è l’uomo?”, la prima parte della domanda posta all’inizio del Salmo citato. “Non è una domanda accademica, retorica, teorica, lontana, per chi non ha tempo da perdere”, ha esordito il presidente della Cei: “È una domanda che immediatamente risuona nella nostra anima così: ‘Chi sono io?’. Dobbiamo ogni tanto porci questa domanda”. “Se noi leggiamo la nostra anima, se facciamo qualche momento di riflessione interiore – la tesi di Bagnasco – ci accorgiamo che, come ricorda il Concilio e prima i padri della Chiesa, cogliamo in noi una realtà così emblematica. Già san Paolo diceva ‘Vedo il bene e faccio il male’. Avvertiamo che a volte nel nostro cuore c’è un senso di malinconia, di nostalgia, di sottile insoddisfazione. E quando lo avvertiamo ci guardiamo attorno e vediamo che non abbiamo motivo di sentire questa malinconia interiore: abbiamo un benessere sufficiente, un lavoro che ci soddisfa, buoni rapporti con gli altri, affetti, salute, forse anche giovinezza e vigore”. “Che cosa ci manca allora? Non riusciamo sempre a chiarire questo sentimento”, il commento di Bagnasco: “Ma se guardiamo meglio vediamo che quella malinconia deriva dal fatto che non riusciamo a trattenere le cose belle della vita. Avvertiamo che siamo fatti per quel ‘per sempre’ e per quella bellezza di vita, di bene, che ci attraggono e che sentiamo che, nonostante le nostre incoerenze, sono la nostra dimora”. “Il bene, e solamente il bene è la nostra casa. L’eternità, il bene, la gioia, la vita, la bellezza, non sono nelle nostre mani: sono un dono, che cerchiamo di costruire con il nostro impegno ma che sfugge sempre alla nostra costruzione, e possiamo solo invocarlo. Così, diventiamo consapevoli che in fondo siamo desiderio, siamo un’invocazione: desiderio di quella pienezza e invocazione di quella felicità, di quella beatitudine che non dipende da noi ma che possiamo evocare come dono di Dio”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Territori

Informativa sulla Privacy