Papa Francesco: la cultura degli aborigeni australiani “non dev’essere lasciata scomparire”

La cultura degli aborigeni australiani “non dev’essere lasciata scomparire”: è quanto afferma Papa Francesco in un Messaggio in occasione del 30° anniversario della storica visita compiuta da San Giovanni Paolo II il 29 novembre 1986 ad Alice Spring. Per l’occasione, riferisce Radio vaticana, il Pontefice incontrò gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres, in Australia. Il Messaggio è stato inviato da monsignor Adolfo Tito Yllana, nunzio apostolico a Canberra, al presidente del Consiglio cattolico degli aborigeni e degli isolani dello Stretto di Torres, John Lochowiak. Francesco esprime “spirituale vicinanza” agli aborigeni australiani e “profonda stima” per il loro “antico patrimonio culturale”, e richiama le parole pronunciate 30 anni fa da Giovanni Paolo II: “Non crediate che i vostri doni valgano così poco da non dovervi più preoccuparvi di conservarli. Condivideteli tra di voi e insegnateli ai vostri figli. I vostri canti, le vostre storie, le vostre pitture, le vostre danze, le vostre lingue, non devono mai andare perdute”. “Quando condividete le nobili tradizioni della vostra comunità – scrive Francesco – voi testimoniate anche il potere del Vangelo di perfezionare e purificare ogni società e in questo modo si compie la santa volontà di Dio”. Nel 1992 l’Alta Corte australiana ha emesso una storica sentenza stabilendo il declino del principio di “terra nullius”, e lo scorso 21 giugno, dopo una battaglia durata quasi 40 anni, il popolo aborigeno australiano dei Larrakia ha finalmente riottenuto le sue terre ancestrali: 52mila ettari nel Territorio del Nord, nei pressi di Darwin. Parlando con i gesuiti il 24 ottobre scorso, Papa Francesco è ritornato sulla questione dei popoli indigeni, sottolineando che di fronte alla globalizzazione uniformante e distruttiva le loro culture “vanno recuperate”. Rispetto all’ermeneutica “di tipo centralista” del passato, oggi, la convinzione del Papa, “è assolutamente necessaria un’ermeneutica radicalmente differente” che valorizzi “ogni popolo, la sua cultura, la sua lingua”.

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