Obiezione di coscienza: mons. Cozzoli su “Avvenire”, “non piace all’establishment culturale di questo Paese”

“Per prima cosa voglio esprimere il massimo rispetto per il dolore della famiglia Milluzzo – dichiara in un’intervista al quotidiano ‘Avvenire’ monsignor Mauro Cozzoli, ordinario di bioetica alla Pontificia Università Lateranense – e il desiderio che sia fatta luce sulla causa di questa tragedia, perché amare la vita significa fare di tutto per salvarla”. Questa, ribadisce mons. Cozzoli, “è la posizione dei cattolici e anche dei medici obiettori, che una campagna culturale e mediatica ha trasformato in un bersaglio facile, inducendo nel Paese un’opinione purtroppo diffusa che, quando si verifica una tragedia, ci ‘deve essere’ lo zampino di un obiettore di coscienza. Lo dimostra la tendenza alla denuncia terapeutica, specialmente di fronte ad esiti infausti che compromettano giovani vite, e il focalizzarsi nella ricerca di obiettori di coscienza sui quali buttare la croce”. Il bioeticista sottolinea che “allorquando il caso di malasanità ha risvolti bioetici, in quanto chiama in causa la Chiesa e i suoi fedeli, sia maggiore l’attenzione dei media”. Se non è impopolare, quantomeno in Italia l’obiezione di coscienza “non piace all’establishment culturale di questo Paese”.  Nel caso di Valentina Milluzzo, la sfortunata mamma deceduta a Catania con i suoi due gemellini, mons. Cozzoli spiega che, anche se con una conoscenza parziale dei fatti, “possiamo certo dire che, se il medico obiettore di coscienza dell’ospedale Cannizzaro non si fosse adoperato per soccorrerla, quel medico sarebbe colpevole di omissione di cura, in quanto non si sarebbe trattato di interrompere una gravidanza ma di prestare un soccorso terapeutico”. Una fattispecie in cui “l’obiezione di coscienza non c’entra nulla: si trattava di un atto curativo, sottrarsi al quale era moralmente riprovevole, tanto più in situazione di grave emergenza”. Se una partoriente rischia la vita, un medico obiettore di coscienza può o non può praticare un’interruzione di gravidanza? “Il medico obiettore deve curare quella donna con l’obiettivo di salvarla – risponde mons. Cozzoli -. Non può utilizzare l’aborto né come fine delle cure né come mezzo, ma se l’aborto è una conseguenza delle cure, che si ritengono indispensabili e indilazionabili per salvare quella donna, non c’è obiezione che tenga. Deve praticare quelle terapie, anche se sa che porteranno alla morte del feto. La differenza è sottile, ma c’è e non a caso esistono i comitati di bioetica per valutare tutti i casi possibili”. E conclude: “il discrimine è tra aborto volontario e diretto da un lato – che non è accettabile e che l’obiettore non pratica – e aborto involontario e indiretto, che non è sanzionabile sul piano dell’etica cristiana”.

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