Diocesi: mons. Lambiasi (Rimini) su “Il Ponte”, “la domenica è un tesoro che non possiamo farci scippare per ragioni economiche”

“È importante che i cristiani facciano brillare la domenica: il giorno del Signore sia davvero vissuto come un momento bello, decisivo, insostituibile”. Così il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, sulle colonne del nuovo numero del settimanale diocesano “Il Ponte”, commenta il tema del lavoro domenicale e festivo e l’importanza di restituire al “settimo giorno” il suo valore di riposo e convivialità, non separato però dalla relazione con se stessi e Dio. “La domenica è un tesoro che non possiamo lasciarci scippare da questioni economiche – sottolinea mons. Lambiasi -. Il tempo libero, specialmente nella fretta del mondo moderno, è una cosa bella e necessaria: ciascuno di noi ne ha esperienza. Ma se il tempo libero – aggiunge – non ha un centro interiore da cui proviene un orientamento per l’insieme, finisce per essere un tempo vuoto che non ci rinforza e non ricrea”. “Riposarsi – prosegue il vescovo di Rimini – non vuol dire separarsi da se stessi”. Rimini ha una forte vocazione turistica e il lavoro domenicale da eccezione (perlomeno temporale) sta diventando una regola. “La domenica – risponde il vescovo a “Il Ponte” – è un tesoro che non possiamo lasciarci scippare da questioni economiche. Ci sono aspetti tecnici da considerare, una città non può fermarsi, il Pronto Soccorso deve funzionare, ma sulla domenica ci giochiamo la fede. È la festa che il Signore fa all’uomo, e non il contrario, un tesoro che Dio dà ai suoi figli”. Lambiasi, sul valore della domenica, ha anche scritto un decalogo: “La domenica è un bene prezioso, non trascorriamola invano, drogandoci di tv, alienandoci nell’evasione, caricandoci di altra tensione. E non ammazziamo la domenica con il doppio lavoro: non violiamo né svendiamo il giorno di riposo. Basta con la mercificazione del tempo: la domenica non è una tassa sul tempo da pagare al dio fiscale”. Esistono, conclude Lambiasi, “altre possibilità di fare festa” al di là degli acquisti nei centri commerciali aperti sette giorni su sette. “Quella consumistica non può essere l’unica cultura sovrana e i centri commerciali non possono essere l’unica risposta al bisogno di socialità”.

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