Diocesi: Messina, l’impegno a favore dei ragazzi dell’oratorio San Luigi Guanella nel quartiere “Chiesa che non c’è”

L’impegno a favore dei “monelli” di Fondo Fucile, dei bambini e dei ragazzi che frequentano l’oratorio “San Luigi Guanella”, a Messina, in un convegno che si svolge domani alle ore 16, nella stessa sede. Attraverso video, foto e contenuti multimediali la comunità parrocchiale, il responsabile dell’oratorio don Nico Rutigliano e la Caritas diocesana di Messina racconteranno le iniziative intraprese nel quartiere chiamato della “Chiesa che non c’è”, perché il terreno su cui si doveva costruire è occupato da una distesa di baracche e l’oratorio è nel seminterrato di un fabbricato denominato “Centro sociale” e di proprietà dello Iacp. “Non c’è un edificio, ma c’è un impegno appunto, ci sono le attività, c’è la gente che ci vive e che crede, che lavora con braccia, testa e cuore”, dicono i volontari che quotidianamente seguono il doposcuola, lo sport, i laboratori creativi, musicali, artigianali e di sartoria, e ancora la danza, la zumba e il laboratorio di prestidigitazione curato da uno dei sacerdoti guanelliani che operano a Messina. Accanto a questo anche il coinvolgimento nelle attività religiose e di culto senza dimenticare che “le migliori catechesi con i ragazzi non avvengono nelle aule ma con la vita, con l’esempio degli adulti e l’Oratorio vuole essere proprio questo: luogo di formazione globale della persona!”. È una frase di San Luigi Guanella che ha animato ed ispirato il progetto “Per le vie del cuore”, progetto che prima di scaturire dalla mente è stato partorito nel cuore. “Vi è una “fascia, una zona grigia” del percorso educativo/formativo sulla quale abbiamo ritenuto doveroso intervenire, che è il disagio giovanile dei ragazzi di questo nostro territorio. Il disagio – spiega Mirella La Falce, coordinatrice dei progetti in corso all’oratorio Don Guanella di Messina – può trasformarsi in rischi di devianza: consumo di alcool e stupefacenti, abbandono scolastico, episodi di delinquenza. La difficoltà di incontrare i giovani nei luoghi di aggregazione (che non vi sono), ci ha spinti a pensare nuove forme di presenza nel territorio capaci di prestare attenzione sia alle fragilità che alle risorse dei minori e dei giovani”.

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