Guerra e giornalismo: Ferrari (inviato speciale di Avvenire) a Copercom, “quel giorno in Libano la mia vita è cambiata”

Il Copercom pubblica oggi il racconto inedito di Giorgio Ferrari, inviato speciale ed editorialista di Avvenire, sulla responsabilità che investe chi racconta la guerra con parole e immagini. L’esperienza vissuta in Libano, in guerra con Israele, gli ha cambiato la vita. Questa “storia non l’ho mai pubblicata su Avvenire, me la sono tenuta per me”. Da un lato “gli F16 di Israele” e dall’altro “l’astuzia degli hezbollah, che allocavano in prossimità di scuole e ospedali le loro rampe con i missili forniti da Teheran e destinati a colpire l’Alta Galilea. La stessa tecnica che usa Hamas a Gaza, allo scopo di suscitare la reazione militare dell’aviazione di Tel Aviv in modo da provocare il maggior numero possibile di vittime innocenti: le guerre che non si possono vincere sul terreno di battaglia si vincono spesso su quello della propaganda, e in questo Hezbollah e Hamas sono maestri”. Sul posto, ricorda Ferrari, c’erano i soccorritori che cercavano di estrarre dalle macerie un bambino già morto per “poterlo seppellire”. Uno di loro “provò a forzare le macerie che lo trattenevano, sollevandolo per le ascelle. Il corpicino gli rimase in mano, ma solo a metà. Il resto del bimbo era rimasto prigioniero del cemento. La sua colonna vertebrale ondeggiava come l’asta di una bandiera. L’uomo che l’aveva estratto dalle macerie si ritrovò fra le mani quel fagotto invertebrato senza nome. Piangeva. E piangevano anche gli altri soccorritori”.

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