Il cabildo, come istituzione, ha la sua origine nei territori non peninsulari della Spagna colonizzatrice, e inizialmente venne costituita una sorta di corporazione municipale nelle isole Canarie e poi nelle Filippine e nelle Indie spagnole. Il suo funzionamento aveva come modello i comuni o i consigli medievali spagnoli. I cabildi sempre sono stati spazi di deliberazioni e decisioni, inizialmente come meccanismi di rappresentanza delle élite locali di fronte alla burocrazia reale, con relativa autosufficienza data la lontananza geografica. Il 19 aprile 1910, proprio grazie a un cabildo aperto – al quale non fu presente il Libertador Simon Bolivar perché era stato confinato da Emparan nella sua tenuta a Yare – il Venezuela compì il suo primo passo deciso verso la libertà, un passo che sarebbe stato confermato con la firma dell’Atto di Indipendenza il 5 luglio dell’anno successivo, in una sala della nostra attuale Università Centrale del Venezuela, il vero Altare della Patria.
La nostra attuale Costituzione menziona i cabildi in due articoli, il 70 e il 348. Si legge all’articolo 70: “Sono mezzi di partecipazione e protagonismo delle persone nell’esercizio della loro sovranità, nella politica: l’elezione di uffici pubblici, il referendum, la consultazione popolare, la revoca del mandato, l’iniziativa legislativa, costituzionale e costituente, il cabildo aperto e l’assemblea di cittadini le cui decisioni saranno vincolanti, tra gli altri; e socialmente ed economicamente, le istanze di attenzione dei cittadini, autogestione, cogestione, cooperative in tutte le loro forme, comprese quelle di natura finanziaria, casse di risparmio, imprese comunitarie e altre forme di associazione guidate dai valori della mutua cooperazione e solidarietà. […] La legge stabilirà le condizioni per l’efficace funzionamento dei mezzi di partecipazione previsti in questo articolo”.
È in base a questo articolo che l’Assemblea nazionale, eletta da non meno di 16 milioni di cittadini nel 2015, ha convocato il cabildo, lo scorso 23 gennaio ma… attenzione, non è stato un cabildo qualsiasi.
È stato convocato nello stesso momento in molte città del paese, che gli conferivano carattere di aperto, straordinario e nazionale, e in contrasto con il vuoto squilibrato della concentrazione militarista in plaza O’Leary. Ha avuto una presenza così massiccia di cittadini, in tutte le città, che automaticamente e costituzionalmente è stato legittimo che il presidente dell’Assemblea nazionale, il deputato Juan Guaidó, assumesse provvisoriamente la presidenza della Repubblica fino a che le elezioni presidenziali non si fossero svolte con le dovute garanzie di trasparenza e democrazia. Come gli abitanti di Caracas nel 1810 dissero no a Emparan, il governatore spagnolo di quel tempo, con questo più grande cabildo della storia, i venezuelani hanno detto no a Maduro, senza dimenticare anche che lo stesso non è stato urlato in numerose città del pianeta.
A partire da quel momento tutto porta alla rotta indicata dall’Assemblea nazionale e ad elezioni da svolgersi sotto precise condizioni.
La prima è che Maduro dica: “Rinuncio al potere”; difficile ma non impossibile. Da qui seguirebbero: la libertà dei prigionieri politici; la riabilitazione dei politici finora impossibilitati a esercitare il loro servizio; la riabilitazione dei partiti politici al momento messi al bando; la revisione del direttivo dell’attuale organismo che gestisce le elezioni, con giudici neutrali ed esperti del settore.
Si andrebbe avanti con una catena riassunta nel presente decalogo:
1. pulizia del Registro elettorale permanente;
2. apertura degli uffici elettorali in tutti i paesi dove vivono venezuelani e stabilire meccanismi di voto dove non sia possibile allestire dei seggi;
3. dare uno spazio di tempo per l’iscrizione dei nuovi votanti e per le comunicazioni di cambio di residenza;
4. rivedere il sistema informativo con tecnici di alto livello e osservatori internazionali per evitare nuove manipolazioni;
5. un sorteggio trasparente per i membri del collegio chiamato a garantire la validità delle elezioni;
6. revisione del sistema delle candidature, assicurandosi che tutti i candidati consegnino certificati di nascita;
7. revisione del sistema di finanziamento dei partiti;
8. l’invito a osservatori internazionali;
9. garantire meccanismi efficaci di audizioni e consultazioni previe, concomitanti e successive;
10. svolgere le elezioni.
(*) docente Università Centrale del Venezuela – Caracas