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Usa, 31° giorno di shutdown. I vescovi chiedono a Trump e al Congresso di porre fine alla chiusura del governo

Tra i costi invisibili dello shutdown ci sono la cancellazione di sette milioni di visite ai parchi nazionali e di due milioni ai musei; c’è la mancanza di controlli negli accessi agli stadi e l’annullamento delle esercitazioni per spegnere gli incendi; lo stop alle sperimentazioni sui vaccini e alle attività di controllo per bloccare l’invasione di alcune specie di cavallette che stanno attaccando alberi e raccolti in alcuni stati

I musei sono chiusi e serrati sono anche i parchi. La metropolitana è quasi deserta e all’ora di pranzo i ristoranti hanno quasi dimezzato i loro clienti. Washington sotto l’effetto dello shutdown è una città fantasma. Siamo al 31° giorno di chiusura del governo, o meglio di una serie di agenzie governative ad esso collegate e oltre 800mila persone o lavorano gratis o non stanno percependo alcun salario, con gravissime ripercussioni sul conto in banca, sui pagamenti del mutuo, sull’acquisto dei beni di prima necessità. “Come impiegati federali riceviamo lo stipendio due volte al mese – spiega Lucia, che lavora nella commissione per elezioni – e nella cultura americana non c’è la logica del risparmio, per cui le persone continuano ad usare la loro carta di credito anche se il conto è in rosso e si troveranno a pagare interessi di passivo spaventosi, anche perchè molto spesso sono marito e moglie a lavorare per un’agenzia governativa”. Nonostante lo stallo tra il presidente Trump e il Congresso sull’approvazione della legge di bilancio, proprio due giorni fa è stata varata la norma che assicura lo stipendio a tutti i lavoratori federali colpiti dallo shutdown, sebbene in questi giorni non abbiano lavorato. “Non abbiamo deciso noi di stare a casa – continua Lucia – e quindi quei pagamenti ci sono dovuti, ma non sappiamo quando li riceveremo. Se la questione sul muro non si sblocca potremmo andare avanti così fino alle prossime elezioni”. Un rischio che al momento non viene escluso, se si guarda alla polarizzazione estrema interna alle Camere e al rapporto sempre più conflittuale con la presidenza.

Le Caritas cattoliche, in alcune diocesi hanno visto raddoppiare le persone in fila per un aiuto e non sono poche le agenzie di beneficenza che stanno offrendo cibo e un piccolo contributo per l’alloggio.

Preoccupa non poco, poi, la situazione dei cosidetti contractors, cioè le ditte che hanno ricevuto un appalto governativo e che al momento lavorano gratis, ma stanno già mettendo in atto una drastica riduzione del personale. Gli addetti alla pulizia dell’ufficio dove Lucia lavorava, ad esempio, sono dimezzati: “Non andando al lavoro non c’è niente da pulire e l’agenzia delle pulizie ha già tagliato il personale che lavorava di notte. Alcuni dei miei colleghi in altre agenzie poi lavorano gratuitamente e alcuni hanno fatto ricorso alla corte, equiparando la loro situazione a quella degli schiavi, costretti a faticare senza ricevere alcun salario. La corte ha bocciato il ricorso, ma questo testimonia la tensione che si respira ovunque”. Già perché a risentirne non è solo Washington, nella diocesi di Salt Lake City nello Utah sono circa 5mila i lavoratori federali rimasti a casa con disagi enormi che le agenzie di assistenza cattolica non sono in grado di supportare adeguatamente. I servizi sociali cattolici di Dayton, in Ohio, hanno iniziato a inviare camion di prodotti alimentari nelle aree periferiche con maggiore frequenza, mentre il responsabile della Caritas di Spokane aggiunge che “decine di migliaia di persone che finora hanno vissuto sulla soglia di povertà potrebbero scivolare ancora più in basso”. Il sindaco di New York, proprio nel weekend ha annunciato che la città perderà 500 milioni di dollari a settimana e questo metterà a rischio una serie di programmi di assistenza, a partire dai buoni pasto per 1.6 milioni di newyorkesi, alle facilitazioni abitative per i malati di Hiv, fino alle mense scolastiche e all’assistenza dei senzatetto.

Tra i costi invisibili dello shutdown ci sono la cancellazione di sette milioni di visite ai parchi nazionali e di due milioni ai musei; c’è la mancanza di controlli negli accessi agli stadi e l’annullamento delle esercitazioni per spegnere gli incendi; lo stop alle sperimentazioni sui vaccini e alle attività di controllo per bloccare l’invasione di alcune specie di cavallette che stanno attaccando alberi e raccolti in alcuni stati.

Anche i vescovi americani, ieri, hanno chiesto al presidente e al Congresso di porre fine alla chiusura del governo, invitando tutti gli attori coinvolti a trovare una soluzione bipartisan che tenga conto non solo delle famiglie dei lavoratori federali, ma anche di tutti quei programmi di assistenza alimentare e abitativa che lo shutdown ha messo in crisi. La possibilità del muro, causa della discordia legislativa, è solennemente bocciata anche da loro: “I nostri fratelli vescovi su entrambi i lati del confine statunitense con il Messico si oppongono e suggeriscono cambiamenti nella legislazione attuale perché rende più difficile ai richiedenti asilo e ai minori non accompagnati accedere alla protezione”, ribadiscono il card. Daniel DiNardo, presidente della Conferenza episcopale, e mons. Joe S. Vásquez, presidente della Commissione per le migrazioni. Nonostante l’opposizione al muro la proposta di Trump sulle concessioni ai giovani del programma Daca, cioè gli immigrati arrivati bambini a seguito di genitori senza documenti, ha trovato nei vescovi un incoraggiamento al dialogo.

“Siamo incoraggiati dall’apertura del presidente a fornire assistenza legislativa ai titolari di status di protezione temporanea e ai beneficiari del Daca – hanno spiegato i vescovi -. Tuttavia, comprendiamo che la proposta fornirebbe solo un temporaneo sollievo, lasciando molti in uno stato di continua vulnerabilità. Crediamo occorra una soluzione legislativa permanente”. Ancora una volta, poi, i presuli offrono la loro assistenza nello stilare una riforma delle migrazioni e non sono disponibili a barattarla con il muro, ma al momento tutti gli input ricevuti sono caduti nel vuoto e questo vale sia sul fronte migratorio che su quello dello shutdown.

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