Rifugiati. Oltre 68 milioni costretti a fuggire dai loro Paesi. Superare paure e condividere responsabilità: così l’integrazione è possibile

È a livelli record il numero di persone costrette in tutto il mondo a fuggire da guerre, violenze e persecuzioni. A fare il punto sono i Global Trends 2017 dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, diffusi ieri e presentati oggi a Roma insieme a storie di riuscita integrazione

“Dateci la parola, dateci la possibilità di fare un racconto diverso, di dire anche le cose belle che stiamo facendo per le città e il paese che ci ha accolto. Ora siamo cittadini europei e vogliamo dimostrare che l’integrazione è possibile”.

Abdullahi Ahmed

Con l’appello di Abdullahi Ahmed, ideatore del Festival dell’Europa solidale e del Mediterraneo, si è aperto oggi, 20 giugno, a Roma, presso l’Associazione stampa estera, l’incontro di presentazione del rapporto statistico Unhcr “Global Trends 2017” diffuso alla vigilia dell’odierna Giornata mondiale del rifugiato. Numeri drammatici, che parlano di 68,5 milioni di persone costrette alla fuga dalle loro case e dai loro Paesi nel 2017, tra questi 30 milioni di minori. Di loro, 25,4 milioni sono scappati a conflitti e persecuzioni: 2,9 milioni in più del 2016, “l’aumento più grande che l’Unhcr abbia mai registrato in un solo anno”, si legge nel report.

In attesa del nuovo Global Compact che dovrebbe essere adottato dall’Assemblea generale Onu tra pochi mesi e in occasione della Giornata odierna, l’Unhcr decide di puntare i riflettori sulle testimonianze di rifugiati che ce l’hanno fatta. Come Abdullahi somalo, 29 anni, fuggito nel 2008 dal suo Paese in guerra da 30 anni, e arrivato a Settimo Torinese solo e senza conoscere la lingua. “Sono stato accolto – racconta – chiamato per nome, non considerato un numero”. Il diciannovenne aveva i suoi obiettivi: “Tutti gli ospiti dei centri di accoglienza ne hanno – assicura – hanno solo bisogno di essere accompagnati”. Perché la questione “non è accoglienza sì, accoglienza no, bensì in che modo può essere accolta, inclusa e integrata una persona”. Per “ricambiare” l’ospitalità ricevuta, Abdullahi ha chiesto di fare per un anno il servizio civile. “Ora sono cittadino italiano ed europeo, so cosa vuol dire vivere in pace, insieme ai miei fratelli rifugiati possiamo costruire un mondo nuovo”,conclude richiamando il manifesto di Ventotene.

Sophia Baras

Sulla stessa linea Sophia Baras, yemenita, già rifugiata e oggi mediatrice culturale a Bari. “Non ci sono solo le guerre visibili, ci sono anche guerre invisibili come quella che ho subito io nel mio Paese per il semplice fatto di essere donna – esordisce -. Ho sofferto molto e vi posso dire che per combattere guerre, terrorismo e radicalismi dobbiamo guardare alle donne” che “possono educare i bambini alla pace ma occorre riconoscere i loro diritti, non devono essere tenute in gabbia. Nel mio Paese le donne sono controllate e sono gli uomini a scrivere la storia”. Di qui un accorato appello:

“Aiutate e supportate le donne e sarà possibile scrivere una storia di pace”.

Per Felipe Camargo, rappresentante Unhcr sud Europa, “il rifugiato non è un pericolo, è in pericolo”. “Chi fugge da guerre e violenze ha diritto ad una protezione più solida”, afferma, e non è ammissibile “una permanenza media in un campo rifugiati di 26 anni”. In qualità di tavolo tecnico, l’agenzia Onu sta elaborando con l’Oim una proposta da presentare ai negoziati per il Global Compact. E se “è difficile arrivare ad una posizione condivisa tra Paesi”,

la vera sfida in Europa è “superare la diffusa percezione di paura”.

Vanessa Redgrave

E proprio le coste meridionali del nostro continente sono teatro del documentario “Sea sorrow – Il dolore del mare”, che segna il debutto dell’attrice Vanessa Redgrave alla regia, riflessione senza sconti attraverso i volti e gli sguardi dei protagonisti. “La mia presenza qui – dice commossa – è un tributo a donne, giovani, bambini, anziani, a tutti coloro che hanno cercato protezione in Europa”. Il documentario, presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma lo scorso novembre e precedentemente al festival di Cannes e al New York Film Festival, è da oggi nelle sale.

 

Nel 2015 le richieste di asilo nel nostro Paese sono state 83.970; 123.600 nel 2016 e 130.119 nel 2017. Quest’anno, il dato aggiornato al 15 giugno parla di 31.367. Nel triennio 2015 – 2018 lo status di rifugiato è stato riconosciuto a 17.271 richiedenti, lo status di protezione sussidiaria a 31.970, lo status di protezione umanitaria a 67.454. Questi i dati diffusi dal prefetto Sandra Sarti, presidente Commissione nazionale per il diritto di asilo. Sono 50 le Commissioni territoriali (nel 1992, quando iniziò a delinearsi un primo sistema di diritto d’asilo erano sette) che “ascoltano e valutano le motivazioni delle richieste d’asilo”. Sono 133.815 domande pendenti ma a breve, assicura, il personale verrà potenziato mentre sono in corso la formazione dei commissari e la redazione di nuove linee guida e di un codice di condotta.

Per Paolo Crudele, VDG/direttore centrale per le politiche migratorie e i visti del ministero Affari esteri e cooperazione internazionale, la mobilità umana e la protezione dei rifugiati devono essere “al centro di uno sforzo collettivo” e “l’Europa ha il dovere morale di profondere tutto il suo impegno”. Per Crudele, gli oltre 68 milioni di rifugiati sono “espressione del grave fallimento della comunità internazionale incapace di prevenire conflitti e disastri in tutto il pianeta”. L’Italia, spiega, “sta dando un sostegno senza esitazioni ai complessi negoziati per il Global Compact”. Due i pilastri irrinunciabili: “Il mettere l’uomo al centro stabilendo regole alle quali nessuno possa sottrarsi” e “la condivisione delle responsabilità”. “stiamo lavorando – conclude – per una chiamata della comunità internazionale alla responsabilità”.

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