Mediterraneo: la disoccupazione giovanile accomuna la sponda Nord e quella Sud

L’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo (Issm-Cnr), nella tredicesima edizione del report sulle economie, focalizza l'attenzione su differenze e affinità del mercato del lavoro dei Paesi del bacino, una delle questioni centrali nel quadro delle relazioni euro-mediterranee, anche per le connessioni con le spinte migratorie provenienti dalla riva Sud ed Est

Un’analisi politico-economica aggiornata dello stato del Mediterraneo. È quella che offre la tredicesima edizione del Rapporto sulle economie del Mediterraneo, a cura di Eugenia Ferragina. Il Report, promosso dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo (Issm-Cnr), si focalizza su differenze e affinità del mercato del lavoro dei Paesi del bacino, una delle questioni centrali nel quadro delle relazioni euro-mediterranee, anche per le connessioni con le spinte migratorie provenienti dalla riva Sud ed Est del bacino.

I cambiamenti strutturali, intervenuti tra il 2000 e il 2015, toccano soprattutto i gruppi sociali più fragili, ricorda il Rapporto.

La disoccupazione giovanile risulta alta non solo nei Paesi della sponda Sud, ma anche in quelli della sponda Nord del Mediterraneo,

con quattro Paesi che nel 2015 raggiungono livelli superiori al 45%: Bosnia-Erzegovina (66,9%), Libia (50%), Spagna (49,4%) e Grecia (49,2%). La partecipazione femminile resta estremamente bassa nei Paesi arabi del Mediterraneo. Oltre che rappresentare un problema sociale, sia la disoccupazione giovanile sia quella femminile pongono una questione seria di inefficiente allocazione delle risorse. Nel Nord Africa, nonostante l’abbassamento dei tassi di fertilità e nonostante i progressi in termini di scolarizzazione, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro rimane significativamente più bassa rispetto ad altre aree in via di sviluppo. Il tasso medio della disoccupazione femminile nel Nord Africa nel 2015 era del 20.4%, più del doppio di quello dell’Ue, che nel 2015 era al 9.5% (fonte Ilo 2015). Le rivolte del 2011 hanno visto uno spiccato protagonismo di giovani e di donne, ma la fase di “transizione” ha disatteso in gran parte le loro aspettative e aspirazioni.

Il problema dell’offerta di lavoro nel Maghreb tenderà peraltro ad ampliarsi in prospettiva.

In considerazione dell’incremento continuo della speranza di vita, l’Algeria, il Marocco e la Tunisia vedranno aumentare la popolazione in età lavorativa tra il 2015 e il 2030. Solo per mantenere costanti i già bassi tassi di occupazione e non far crescere l’attuale grande numero di disoccupati, l’Algeria dovrà aggiungere ogni anno dai 126mila ai 231mila nuovi posti di lavoro, il Marocco dai 121mila ai 133mila, la Tunisia dai 281mila ai 392mila. Se questi obiettivi non saranno soddisfatti la strada della migrazione sembra inevitabile. Secondo il Rapporto, non sono solo gli Stati nazionali a pianificare le politiche migratorie: per ricostruire i nessi tra Stati e migrazioni occorre guardare anche alle organizzazioni internazionali, alle ong e alle organizzazioni criminali. È essenziale, quindi, delineare in modo preciso gli attori che gestiscono il governo delle migrazioni e le caratteristiche stesse dei fenomeni migratori, che appaiono sempre più veloci nelle loro dinamiche di trasformazione e ricollocazione.

I movimenti migratori verso Nord si intrecciano però con il dato per cui anche la disoccupazione della popolazione straniera residente risulta sensibilmente aumentata tra il 2008 e il 2015 in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. L’analisi evidenzia che, al tramonto della lunga e intensa crisi economica, i tassi di occupazione degli stranieri sono sensibilmente diminuiti dagli 8 ai 17 punti percentuali in meno rispetto al 2008, mentre

la disoccupazione degli stranieri ha assunto dimensioni notevoli: oltre il 16% in Italia, ma più del 30% in Grecia e in Spagna.

L’economia verde – agricoltura, settore energetico e settore idrico – può essere di aiuto. Per uscire dalla crisi i Paesi mediterranei devono cominciare a pensare in termini di un’economia basata su un approccio sistemico e integrato che sappia puntare sull’innovazione, su un uso efficiente delle risorse e sulla diffusione della conoscenza. Tutti fattori che potrebbero contribuire alla crescita, alla coesione sociale e all’incremento dell’occupazione nella regione euro mediterranea garantendo, allo stesso tempo, resilienza e capacità di adattamento a un ambiente in continua trasformazione.

Infine, il Report analizza il legame tra le politiche migratorie e quelle per lo sviluppo realizzate finora nell’area del Mediterraneo, in particolare in Nord Africa e nel Sahel. Gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile posti da Agenda 2030 dell’Onu comporterebbero per l’Unione europea, quale principale donatore nel Nord Africa a livello mondiale, una trasformazione delle politiche di cooperazione e un più efficace partenariato pubblico-privato per gli aiuti allo sviluppo, per evitare una dispersione di risorse finanziarie. Invece, sostiene il Rapporto, la priorità dell’Ue si è focalizzata sulle migrazioni e il loro contenimento, a scapito di sviluppo sostenibile e inclusivo. Al contrario, sarebbe necessario un sistema di governance multi-livello e di politiche territoriali volte a gestire una realtà molto complessa che coinvolge diverse istanze sociali, diversi portatori individuali e collettivi di interessi che non convergono.

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