Guerra dei dazi e grandi mercati mondiali. Agricoltura merce di scambio?

Le ipotesi formulate dal presidente statunitense hanno allarmato gli operatori, ma il settore è da sempre al centro degli scambi internazionali

Il rischio di una nuova guerra commerciale fra le due sponde dell’Atlantico, ripropone  con forza il ruolo delle politiche di commercio estero e dell’agricoltura in particolare. Quello dei campi e delle stalle non è un settore avulso dai grandi scambi mondiali. Anzi, al pari di alcuni altri comparti dell’economia, proprio l’agroalimentare vive da sempre immerso nei meccanismi di import-export, ne viene influenzato ed è a sua volta una delle pedine più importanti di politica economica. Si tratta di una condizione che deve essere compresa a fondo e che può cambiare notevolmente l’immagine del settore che diventa ben altro rispetto a quanto si potrebbe pensare guardando solamente ai prodotti tipici.

Il cuore della questione è semplice.

Accanto alle prelibatezze blasonate e a marchio, esiste il resto della produzione agricola.

Si tratta, per esempio, delle commodities, cioè dei prodotti derivanti dalle grandi coltivazioni di cereali (grano, mais, riso), le cui quotazioni (anche quelle locali) sono determinate a livello mondiale. Si tratta anche – seppure in modo più contenuto -, di alcune materie prime zootecniche a partire da latte (ma anche alcune carni). E come dimenticare le colture oleaginose? Alcuni prodotti ortofrutticoli passano poi per le forche caudine delle quotazioni internazionali al pari del grano. Tutto senza trascurare il fatto che, alla fine, anche una buona parte dei prodotti agroalimentari dotati di marchi di origine, devono sottostare a regole di esportazione e importazione che spesso ne determinano la competitività e quindi il successo.

Non è un assurdo dire che anche la produzione agricola che appare più locale è in effetti toccata dai mercati internazionali che devono a loro volta fare i conti con i dazi e con le barriere non tariffarie (per esempio quelle che hanno a che fare con lo stato sanitario dei prodotti).

È per questo che i coltivatori diretti hanno subito prestato attenzione alle ipotesi di dazi fatte balenare da Donald Trump. “America First” – l’idea portante dell’Amministrazione Trump -, non è un concetto astratto per l’agricoltura.

I conti li ha fatti Coldiretti. E sono pesanti. Il motivo è semplice. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il principale mercato di riferimento per il Made in Italy fuori dall’Unione europea con un impatto rilevante anche per l’agroalimentare. In quest’ultimo campo gli Usa hanno accresciuto gli acquisti di cibo e bevande del 6% nel 2017 per un totale di circa 4 miliardi di euro, il massimo di sempre. E non basta, perché il mercato statunitense è al terzo posto tra i principali italian food buyer dopo Germania e Francia, ma prima della Gran Bretagna. Il vino – dice ancora la Coldiretti – risulta essere il prodotto più gettonato dagli statunitensi, davanti a olio, formaggi e pasta. E non basta, perché pare che qualcosa sia già iniziato a scricchiolare: a gennaio è stata registrata “una brusca inversione di tendenza” con esportazioni in calo dell’1,4%.

Ma il condizionamento dei grandi mercati internazionali e  delle politiche commerciali mondiali, si è fatto sentire sempre. Basta rammentare cosa è accaduto con l’embargo scatenato dalla Russia che ha colpito frutta e verdura, formaggi, carne e salumi, ma anche pesce, provenienti da tutta l’Unione europea e dall’Italia in modo particolare. Proprio quello della Russia è un esempio che deve fare ragionare. Nonostante l’embargo, nel 2017 le nostre vendite agroalimentari sono cresciute del 22% per un importo stimato in poco inferiore ai 7 miliardi nel 2017. Ma si sarebbe potuto fare molto di più. In occasione della recente visita di Vladimir Putin in Italia, i coltivatori diretti hanno calcolato che “la situazione resta difficile e che le esportazioni italiane risultato inferiori di ben 4 miliardi rispetto al 2013, l’anno precedente all’introduzione delle sanzioni”. Alle perdite dirette subite dalle mancate esportazioni italiane in Russia si sommano poi quelle indirette dovute al danno di immagine e di mercato provocato dalla diffusione sul mercato russo di prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con quelli italiani.

A completare la serie di esempi, c’è poi l’accordo Mercosur che l’Europa ha da poco sottoscritto e che apre la strada ad una serie di prodotti a dazio zero.

I coltivatori accusano: l’agricoltura trattata come merce di scambio “senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale”. Probabilmente non è esattamente così, ma la provocazione è vicina al vero e va presa molto sul serio. Trump insegna, così come Putin.

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