In Cile torna al potere la destra liberale di Piñera

Un’affermazione che avvicina politicamente il Cile all’Argentina di Macri e conferma il periodo nero della Sinistra latinoamericana. Si vedrà se la tendenza proseguirà anche nel 2018, quando si voterà per le elezioni legislative e presidenziali in Brasile, Colombia, Messico e Paraguay, oltre che nel martoriato Venezuela

La destra liberale torna al potere in Cile, e la svolta è un segnale per tutto il Sudamerica. Il ballottaggio di ieri ha sancito la vittoria, piuttosto netta, di Sebastián Piñera (ha ottenuto il 55,57 per cento dei voti), che torna così al palazzo della Moneda, dopo aver già guidato il paese dal 2010 al 2014. Un’affermazione che avvicina politicamente il Cile all’Argentina di Macri e conferma il periodo nero della Sinistra latinoamericana. Si vedrà se la tendenza proseguirà anche nel 2018, quando si voterà per le elezioni legislative e presidenziali in Brasile, Colombia, Messico e Paraguay, oltre che nel martoriato Venezuela. Già dopo il primo turno era parso evidente il vantaggio di Piñera (attestatosi al 36%) sul candidato socialista Alejandro Guiller, che si era fermato al 22% ed era stato insidiato fino all’ultimo dalla sorprendente Beatriz Sánchez, candidata del Frente Amplio, altra lista di sinistra sorta dai movimenti studenteschi del 2011. In teoria, una saldatura al ballottaggio tra i voti delle due sinistre avrebbe avvicinato Guiller alla vittoria. Ma in politica non sempre due più due fa quattro. E non è bastata la dichiarazione pro Guiller della stessa Sánchez, che aveva coronato un certo avvicinamento nelle ultime settimane. Così, a Guiller sono mancati oltre 600mila voti per completare la rimonta.

Promesse difficili da mantenere. La strada per Piñera non è comunque in discesa, anche perché sa già di non poter contare su una sua maggioranza in Parlamento. “Dovrà dimostrare immediatamente la sua lealtà nel mantenere le promesse, soprattutto alcune che sono state aggiunte al suo programma a causa di pressioni politiche – spiega al Sir Sergio Micco Aguayo, docente in Filosofia e Scienza della politica all’Universidad de Chile di Santiago -. È il caso dell’implementazione di sussidi gratuiti, o la creazione di un sistema pensionistico statale. Questo però dovrà essere realizzato senza spaventare gli imprenditori e il suo elettorato di riferimento. Ma se non ci riuscirà, sarà chiamato ad affrontare l’opposizione dei movimenti sociali, come accaduto nel 2011”.

Non tornano i fantasmi del passato. L’affermazione della destra in un paese come il Cile rischia sempre di evocare fantasmi del passato e la stagione della dittatura Pinochet. Tanto più che al ballottaggio sono stati probabilmente importanti per il vincitore i voti ottenuti che al primo turno erano andati a José Antonio Kast, indipendente di destra e ammiratore dichiarato dell’ex dittatore. “In occasione del primo mandato di Piñera molti erano preoccupati, erano riapparsi i fantasmi di Pinochet. Invece non è successo granché – rassicura però da Santiago del Cile il veneziano Giovanni Agostinis, docente in Relazioni internazionali all’Università Cattolica del Cile -. È probabile che accada anche stavolta,

Piñera è un conservatore ma anche un liberale, ed è anche un politico furbo e accorto.

Non farà stravolgimenti”. E questo vale anche per la politica estera: “Il Cile – prosegue Agostinis – ha una politica estera piuttosto stabile nel tempo, con interessi strategici persistenti, che non cambiano in caso di avvicendamenti al vertice. Ora la priorità è implementare l’Alianza del Pacifico, l’area di libero scambio che coinvolge le maggiori economie di mercato dell’America Latina – oltre al Cile Perù, Colombia e Messico – con un occhio di riguardo per i mercati asiatici”.

Un paese diviso e rassegnato. Piuttosto, le sfide più grandi per Piñera saranno quelle di riunificare un paese diviso e di sconfiggere l’attuale rassegnazione e sfiducia che sembra pervadere i cittadini cileni, che anche ieri si sono astenuti in gran numero (ha votato il 49 per cento, il 3 per cento in più rispetto al primo turno). Spiega ancora Micco: “Nell’esperienza cilena spesso i presidenti della Repubblica hanno avuto un ruolo di moderazione del conflitto politico. Ad esempio, Pedro Aguirre Cerda o Patricio Aylwin hanno dimostrato che un Capo di Stato può andare al di là dei legittimi interessi ed ideali espressi dai loro partiti, tendendo la mano anche alle opposizioni più dure. Nell’attuale contesto, nel quale la composizione del Congresso emerso dalle elezioni del mese scorso non ha espresso una chiara maggioranza, si rafforza l’idea di un accordo tra Governo ed opposizione. Tuttavia,

ci sono tre elementi preoccupanti: l’astensione resta superiore al 50%, nonostante questa mancanza di partecipazione sia stata esplicitamente combattuta; l’assenza nei partiti di solidi programmi; un Congresso che non è rappresentativo di circa metà dell’elettorato, nonostante sia stata introdotta una legge proporzionale, sistema che solitamente favorisce la partecipazione”.

Ma ci sono anche aspetti positivi: “Un’elezione combattuta senza alcun accenno di violenza fisica, che onora i cileni; un Congresso composto da un numero maggiore giovani e donne e un sistema elettorale irreprensibile nella sua applicazione”. Conclude Agostinis: “Il voto ha fatto emergere una certa disaffezione, però in Cile l’alto livello di astensione è cronico. Un fenomeno probabilmente legato all’incapacità della politica di risolvere il problema delle forte diseguaglianza sociale. Il Cile è forse il paese più ricco del Sudamerica, l’indigenza è quasi debellata, ma le diseguaglianze mostruose, la vera ricchezza è concentrata in poche mani”.

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