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Trump? “Risponde ai suoi elettori, ma presto dovrà cambiare rotta. Muslim ban inutile e dannoso”

Il presidente degli Stati Uniti, da poco insediatosi alla Casa Bianca, sta accelerando su diversi fronti: politica estera, sicurezza e difesa, immigrazione. Alcuni suoi provvedimenti suscitano reazioni controverse e indispettiscono gli "alleati". Michael Genovese, della Marymount University di Los Angeles, spiega le prime mosse di "The Donald" ma mette in guardia da possibili derive contrarie agli interessi americani

Michael Genovese, Marymount University di Los Angeles

Un decreto che sospende l’arrivo di cittadini da sette Paesi musulmani poi bloccato da un giudice federale, il taglio al piano di accoglienza dei profughi, un avvicinamento alla Russia e invece gelide relazioni con l’Unione europea, la nomina di un nuovo giudice per la Corte suprema. Tante le decisioni assunte dal neo presidente Donald Trump nei primi giorni alla Casa Bianca, e non poche quelle controverse. Per capire quale peso abbiano tali provvedimenti e questo approccio per gli Stati Uniti e per l’Europa abbiamo parlato con Michael Genovese, professore esperto di White House Studies e direttore dell’Istituto per gli studi sulla leadership alla Loyola Marymount University di Los Angeles.

Come vede i primi passi dell’amministrazione guidata dal presidente Donald Trump?
Trump sta facendo quello che aveva promesso al suo elettorato. Da quando si è insediato ha manifestato grande attivismo, ha firmato decreti presidenziali a raffica, galvanizzando chi lo ha portato alla presidenza, la destra americana. Questo attivismo continuerà finché avrà il sostegno popolare nei sondaggi. Quando questo verrà meno una parte dei repubblicani lo abbandonerà, e comincerà ad avere grossi problemi. Abbiamo già avuto un’avvisaglia. Il senatore repubblicano John McCain si è dissociato dalla recente telefonata scortese di Trump con il primo ministro australiano, Malcolm Turnbull (Trump non si era detto pronto ad accogliere un migliaio di profughi provenienti da un centro di detenzione australiano, definendoli come potenziali terroristi, ndr).

Il “Muslim ban”, il divieto di accesso negli Stati Uniti per le persone provenienti da sette Paesi musulmani che in queste ore è stato bloccato dal giudice federale dello Stato di Washington, sta dividendo l’America. Secondo lei è utile in termini di sicurezza?
No, lo ritengo inutile e dannoso. Inutile perché i sette Paesi coinvolti non hanno prodotto alcuno dei terroristi che hanno attaccato l’America. E invece altri Paesi, che non sono coinvolti dalle misure restrittive, come l’Arabia Saudita, non vengono toccati. Il divieto è anche dannoso perché è sostanzialmente un boomerang in termini di immagine. Ora i gruppi a noi ostili nel Medio Oriente e altrove dispongono di un argomento in più per indottrinare i loro seguaci contro di noi.

Ritiene che questo stile drastico sia sostenibile nel lungo periodo?
Credo che Trump si veda come un leader speciale, capace di trasformare il Paese. Si vede come una forza dirompente, e avendo come consigliere Steve Bannon, un granitico esponente delle destra americana che gli sussurra nelle orecchie, per ora le decisioni sono taglienti e polarizzanti. Ma con l’entrata in gioco del segretario di Stato, Rex Tillerson, si è già visto qualche aggiustamento di rotta, per esempio sul fronte dei rapporti con la Russia. Tillerson, ex amministratore delegato dell’azienda petrolifera Exxon Mobil, sa bene quanto Putin sia insidioso.

Parlando di Russia, sembra che tra Trump e Putin, invece, ci sia un idillio.
È un’armonia solo superficiale. Ci possono essere migliori dinamiche personali tra i due presidenti, ma essenzialmente

gli interessi di Stati Uniti e Russia sono diametralmente opposti.

Pensiamo alla situazione in Ucraina, dove la Russia non fa che mettere in difficoltà la Nato. Putin ha tutto l’interesse a indebolire l’Unione europea, che senza la leadership degli Stati Uniti non si muove su quel teatro. E anche in Medio Oriente Putin ha piani ben diversi dai nostri. Per esempio ha difeso e sostenuto il presidente Bashar al-Assad, che noi avevamo giurato di voler destituire. E poi c’è la minaccia dell’hackeraggio informatico, come abbiamo visto durante il voto, che però Trump vuole minimizzare per fugare qualsiasi ombra sulla sua vittoria elettorale.

Qual è il peso dell’Unione europea nella politica estera dell’amministrazione Trump?
L’Europa sembra importare ben poco a Trump. È strano quando i nostri alleati storici sono allarmati, ed è ancora più bizzarro quando i nostri nemici storici sprizzano gioia. Noi lasciamo campo libero in Europa e nel Medio Oriente. Russia e Cina sono ben contente di prendere il nostro posto. Abbiamo interessi economici e valori fondamentali in comune, con l’Europa. I commenti negativi di Trump contro Bruxelles e un leader come Angela Merkel vanno contro i nostri interessi e la nostra identità.

Passando al fronte interno, Trump ha anche nominato Neil Gorsuch, un giudice conservatore per la Corte suprema per il posto vacante del defunto Antonin Scalia…
Questa è stata un’ottima scelta. Gorsuch è un conservatore serio, di grande caratura. I democratici ne combatteranno la conferma in termini di principio; ma in ogni caso su questo fronte la scelta è stata saggia.

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