I venezuelani sfrattano Maduro. È l’eclissi, annunciata, del chavismo

E' oggettivamente difficile che il chavismo possa sopravvivere, salvo rinnovarsi profondamente. Il presidente non è riuscito a gestire la pesante crisi economica, dovuta principalmente al crollo del prezzo del petrolio. Il paese è caduto in miseria, le file per avere generi alimentari sono infinite, l’inflazione galoppa, superando il 15% mensile. L'ombra della corruzione. La vittoria è andata al cartello delle opposizioni. La Chiesa, soddisfatta per l'affluenza al voto, chiede dialogo e riconciliazione.

Il chavismo non sopravviverà al suo fondatore Hugo Chávez. O, comunque, dovrà profondamente rinnovarsi e cambiare pelle. E’ questo il messaggio inequivocabile che arriva dalle elezioni legislative che si sono tenute ieri in Venezuela, in una data simbolo per il partito socialista “bolivariano”, al potere da ben 17 anni. Il 6 dicembre 1998 Chávez aveva vinto le elezioni per la prima volta, sempre il 6 dicembre è stato fatale al suo successore Nicolás Maduro. Le elezioni di ieri riguardavano il rinnovo del Parlamento. Tecnicamente si trattava di qualcosa di simile alle elezioni statunitensi di metà mandato. Non era in discussione il ruolo del presidente Maduro, ma certamente la solidità della sua leadership. E il risultato è stato eloquente. Ben tre venezuelani su quattro si sono recati alle urne e in grande maggioranza hanno votato per il cartello dell’opposizione, riunito nella Mud, “Mesa de Unidad democratica”, che ha ottenuto con certezza 99 seggi su 167 all’Assemblea nazionale, mentre  il partito di governo ne ha ottenuti solo 46. E’ possibile però che a scrutinio completato la Mud riesca a superare la soglia dei 102 seggi, cioè la maggioranza qualificata dei tre quinti dell’assemblea. In questo caso la coalizione potrà avere molti strumenti per tenere testa a Maduro, e, addirittura, i numeri per porre veti e cambiare la Costituzione.

Un Paese tra povertà e violenza. La sconfitta di Maduro era in realtà attesa dai sondaggi. Il Venezuela è oggi sull’orlo del baratro tra crisi economica, tensioni politiche e sociali, violenze generalizzate.

Maduro, dopo la sua vittoria di misura alle Presidenziali del 2013, si è dimostrato autoritario più che autorevole, silenziando l’opposizione. Non ha saputo dare risposta alla gravissima crisi economica, dovuta soprattutto al crollo del prezzo del petrolio.

L’oro nero infatti è alla base del 95 per cento delle esportazioni venezuelane. Il paese è caduto in miseria, le file per avere generi alimentari sono infinite, l’inflazione galoppa, superando il 15% mensile. Le tensioni sociali sono cresciute di pari passo con l’aumento di corruzione e violenza. Secondo i dati delle Nazioni Uniti, il Venezuela è il secondo paese più violento del mondo, con un tasso di 62 omicidi ogni 100mila abitanti.

Da Maduro un errore dopo laltro. “Con questo risultato inizia senza dubbio il tramonto di un progetto e di un’idea – afferma senza mezzi termini il venezuelano Edgar Serrano, manager didattico per il Master internazionale in Sviluppo locale dell’Università di Padova -. Gli eredi di Chávez hanno distrutto il progetto originario, commettendo un errore dopo l’altro. Prevedo per il futuro una frantumazione del chavismo. Ora Maduro capirà cosa significa governare dentro una democrazia. Al tempo stesso, occorre riconoscere che l’opposizione ha vinto per la disperazione della gente, ma non è portatrice di un chiaro modello alternativo”. Le prospettive per il Paese, dunque restano incerte se non drammatiche, anche perché la ragioni della crisi economica sono strutturali. “Ma siamo arrivati a questo punto anche per il cancro della corruzione – prosegue Serrano -, l’aspetto etico è comunque centrale nella sconfitta di Maduro. Ora inizia il dialogo. Personalmente comincerei a ridurre un apparato statale elefantiaco, che conta attualmente 32 ministri e 122 viceministri”. La corruzione, del resto, è uno dei motivi di questo “autunno terribile” per la sinistra latinoamericana, come sottolinea Serrano:

“Ora il Venezuela, la scorsa settimana l’Argentina, in Brasile sulla Rousseff pende una richiesta di impeachment, anche in Bolivia è emerso un caso di corruzione. Il popolo non è stupido”.

Le presidenziali previste per il 2016 in Bolivia e Perù diranno se è in atto la fine di un ciclo in tutto il continente.

 

La Chiesa, soddisfatta, chiede dialogo. Le prime reazioni della Chiesa venezuelana, spesso molto critica con Maduro, sono improntate a soddisfazione per la grande partecipazione e per la prova di democrazia vissuta dai cittadini. Mons. Roberto Lückert León, arcivescovo di Coro e presidente della Commissione Giustizia e Pace dell’episcopato venezuelano, in un’intervista rilasciata alll’emittente radiofonica colombiana Bluradio nelle ore dello spoglio, dopo aver sottolineato che la “gente è stanca e per questo ha votato in così grande numero”, ha messo in evidenza che “la prima cosa che l’Assemblea nazionale deve fare è cambiare lo stile del linguaggio, che non deve discriminare, ma includere”. Secondo il presule, “per risolvere i problemi bisogna venirsi incontro”. Un invito al dialogo che riprende, del resto, il comunicato emesso sabato dalla Commissione Giustizia e pace, che da una parte invitava i cittadini a votare e, dall’altra, non mancava di promuovere il dialogo e la riconciliazione. Il popolo ha ascoltato i vescovi, ora si vedrà se lo faranno anche i politici.

 

 

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