Monsignor Lazzaro You, “la Chiesa non sia un comodo salone per ricchi”

Si è svolta a Roma una conferenza sulla situazione della Chiesa cattolica in Corea ad un anno dalla visita di papa Francesco. Tra memoria e futuro, una comunità  ecclesiale in crescita, ma segnata dal dolore della divisione

Anche la Chiesa cattolica di Corea è attraversata da “un fenomeno chiamato effetto Francesco” e la domanda che oggi da più parti risuona è “se la Chiesa non sia diventata un comodo salone per ricchi, perdendo il suo ruolo di profezia”. A dare voce all’interrogativo è monsignor Lazzaro Heung-Sik You, vescovo di Daejeon e presidente della Commissione Giustizia e Pace. Il vescovo si trova a Roma dove mercoledì ha potuto salutare papa Francesco. Fu lui ad invitarlo in Corea alla Giornata della gioventù asiatica che si svolgeva nella sua diocesi. A Roma è intervenuto ad una affollatissima conferenza sulla situazione della Chiesa coreana promossa alla Gregoriana dall’Ambasciata della Repubblica di Corea presso la Santa Sede. L’analisi del vescovo è lucida e senza remore.

“Se guardiamo alla Chiesa di oggi in Corea nell’ottica dei martiri coreani, non possiamo non provare sentimenti di vergogna e di scrupolo”.

Il vescovo parla di una Chiesa che “si è fermata, accontentandosi di essere ricca”, che “cerca l’auto-espansione, il riconoscimento e il potere”. È responsabilità anche dei cattolici – incalza il vescovo – se nella società coreana “non c’è posto per i valori morali” e se “consumismo, rivalità cieca, materialismo sono diventati le norme della nostra vita”. Il vescovo esorta a ritornare alle origini della Chiesa coreana, bagnata dal sangue dei martiri ma invita, anzi supplica di non fare di loro “un fossile da museo”. Il martirio – dice il vescovo – non consiste nella morte ma nella vita, nel dire no “al successo ad ogni costo”; “alla tentazione di liquidare la richiesta radicale del Vangelo per seguire la corrente del tempo”.

Si apre dunque anche per la Chiesa di Corea una nuova pagina della sua storia. Una penisola di 220mila chilometri quadrati, grande quanto il Regno Unito. È stato “un onore” – ha detto Francesco Kyung-surk Kim, ambasciatore di Corea presso la Santa Sede – accogliere papa Francesco. La Chiesa cattolica è in questo Paese in grande crescita. I dati sono eloquenti.

Nell’arco degli ultimi 50 anni i cattolici sono aumentati di 10 volte passando dal mezzo milione a 5 milioni e mezzo.

Il numero dei sacerdoti è invece incrementato di 15 volte, passando da 300 a 5mila. Sono circa 1.000 i missionari coreani sparsi nel mondo, segno di uno spirito di evangelizzazione che non conosce confini. Eppure il Paese – confida l’ambasciatore Kim – porta dentro di sé la ferita e la “sofferenza” di una divisione. Era il 1953 quando la Corea fu divisa in due e da allora vige tra i due governi un fragilissimo armistizio. Dal 23 al 30 ottobre, due delegazioni di Chiese cristiane hanno potuto varcare il muro di filo spinato che solca il 38° parallelo. Si tratta della “Associazione dei preti cattolici per la giustizia” (Cpaj) e del Forum ecumenico per la Corea, realtà promossa dal Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) e dalla Conferenza dei cristiani d’Asia. Ma la cortina che separa i due Paesi è ancora alta.

“Non si sa nulla – ha detto l’ambasciatore Kim – della vita religiosa in Corea del Nord. Non si sa quanti siano i cattolici”.

“Ufficialmente si parla di una presenza di centinaia di persone ma non c’è alcuna prova della loro esistenza. La Santa Sede non ha fatto mai mancare le sue preghiere per la riconciliazione e la pacifica riunificazione della penisola con la speranza che questo messaggio di pace possa raggiungere tutto il popolo coreano che parla la stessa lingua”.

Lo storico Ignazio Kwang Cho  ricorda il dramma di “intere famiglie che sono state separate. Alcune hanno potuto ricongiungersi, altre non ne hanno avuto la possibilità”. La Chiesa? “È come un faro di luce che illumina l’oscurità”, dice il professore che si dice convinto che non sarà “l’intervento politico” ad unire le due Coree. Ma “lo spirito di umanesimo e di amore che ci rende fratelli”.  “Cercheremo di fare tutto – aggiunge il vescovo You – perché il popolo coreano arrivi alla riconciliazione superando la separazione e il conflitto e alla fine all’unità piena. Ci prepareremo al recupero dell’unità nazionale non per calcolo politico ma per amore dell’uomo e la fraternità”.

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