Madri in Africa. Il parto non sia un rischio

Un progetto per ridurre le morti di donne e bambini

“Prima le mamme e i bambini” è il programma presentato nei giorni scorsi dall’Organizzazione non governativa (Ong) “Medici con l’Africa Cuamm” per garantire l’accesso gratuito al parto sicuro e la cura del neonato nel Continente Nero. Ancora oggi, infatti, in Africa molte mamme e molti bambini muoiono perché non hanno la possibilità di avere servizi sanitari adeguati. Don Dante Carraro, direttore dell’Ong impegnata nel campo sanitario, illustra il progetto, il cui costo complessivo è di 5 milioni 456 mila euro e che prende il via anche grazie al sostegno delle Fondazioni Cariparo, Cariverona, Cariplo e della Compagnia di San Paolo, che al momento hanno assicurato per la prima annualità 700 mila euro.

Quale obiettivo vuole raggiungere il progetto?

“L’obiettivo è quello di aggredire il problema più urgente che l’Africa Subsahariana in termini sanitari sta vivendo: l’altissima mortalità materna legata al parto. Infatti, quello che dovrebbe essere un momento bellissimo, perché si affaccia al mondo una nuova vita, diventa spesso causa di morte della madre, ma anche del neonato. Quando una mamma perde la vita al momento del parto, infatti, nel 95% dei casi muore anche il bambino. L’obiettivo del progetto è di raddoppiare in 5 anni il numero dei parti assistiti, passando dagli attuali 16.000 a oltre 33.000 l’anno”.Quali saranno i Paesi coinvolti nel programma e come interverrete concretamente?”L’intervento si realizzerà in Angola, Etiopia, Uganda e Tanzania grazie alla collaborazione con le istituzioni cattoliche del settore sanitario, che operano in 4 distretti dei 4 Paesi. In Etiopia, con la Conferenza episcopale etiope, proprietaria dell’ospedale San Luca di Wolisso, l’unico ospedale della South West Shoa Zone; in Uganda, con la diocesi di Apach, proprietaria dell’ospedale di Aber, il solo ospedale del sottodistretto di Oyam; in Tanzania, con la diocesi di Iringa, proprietaria dell’ospedale di Tosamaganga, il solo ospedale del distretto di ‘Iringa Rural’; in Angola, con la diocesi di Ondjiva, proprietaria dell’ospedale di Chiulo, il solo ospedale del municipio di Ombadja. L’approccio di Medici con l’Africa Cuamm, infatti, è di non avere strutture proprie, ma di supportare, far crescere e rendere autonomi ospedali e centri sanitari delle istituzioni locali, in questo caso della Chiesa cattolica locale”.

Per quale motivo ci sono ancora tante donne che muoiono di parto in Africa?

“Il motivo più importante è quello dell’accessibilità finanziaria. Molte mamme partoriscono a casa, e purtroppo muoiono, perché non hanno i mezzi economici per accedere alla struttura sanitaria. Un parto assistito viene a costare 40 euro, una cifra per loro proibitiva. Noi già adesso pratichiamo tariffe bassissime, chiedendo un quarto, ma anche 10 euro è una cifra altissima. Il nostro primo obiettivo, allora, è rendere l’accesso al parto assistito gratuito. La seconda difficoltà è l’accessibilità geografica, perché anche senza dover pagare il ticket per il parto assistito, vivendo in zone molto remote, queste mamme non hanno la possibilità di pagare il trasporto fino in ospedale”.

Come si supera questa difficoltà?

“Prevediamo di fornire i quattro ospedali di un’ambulanza: le famiglie potranno avvisare, attraverso il tam tam locale, la struttura ospedaliera, che invierà l’ambulanza nelle zone rurali e periferiche dove vivono le partorienti. Allo stesso tempo, il progetto prevede anche la formazione del personale locale, in modo che questi parti possano essere seguiti in 22 centri sanitari periferici, che vogliamo riattivare e rimettere a nuovo, perché spesso sono strutture decadenti. Ogni ospedale principale si avvarrà così della collaborazione di alcune strutture periferiche dove sarà valutata, caso per caso, la condizione di salute delle partorienti. Si deciderà così se la donna può partorire nel centro periferico o se c’è la necessità di trasferirla nell’ospedale principale”.

Ci sono ulteriori problemi?

“Una terza difficoltà è costituita dalle risorse umane: mancano chirurghi per i parti cesarei e ostetriche per i centri periferici. Abbiamo perciò intenzione di attivare o continuare a sostenere le scuole di formazione per ostetriche locali. Il tutto per rendere autonomo il sistema: il nostro obiettivo, infatti, è che dopo 5 anni queste strutture camminino con le loro gambe. D’altra parte, noi siamo Medici con l’Africa: quel con identifica il nostro modo di agire, che rende protagonisti gli stessi africani del loro futuro. La formazione è un tassello fondamentale del nostro impegno, ma implica tempi lunghi, per questo il Cuamm ha pensato il progetto in un arco temporale di 5 anni. Vorrei, infine, fare un appello a ginecologici, ostetriche, pediatri: abbiamo bisogno di persone che rispondano a questa chiamata e disposti a donare 2 o 3 anni della loro vita. In tutta la storia del Cuamm ci sono stati 1.500 professionisti che si sono spesi per l’Africa; la media di permanenza sul campo è di 3 anni e mezzo. Attualmente ci sono un centinaio di volontari sul campo, ma ne servono di più”.a cura di Gigliola Alfaro

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