Guzzetti: territorio, solidarietà, comunità. I miei 22 anni alla Fondazione Cariplo

Il presidente della Fondazione Cariplo lascerà l'incarico a maggio. Con il Sir traccia un bilancio delle attività sociali e culturali sostenute dall'ente benefico. "Rispondere alle necessità di chi ha maggior bisogno, per non lasciare indietro nessuno". Migranti: "sosteniamo chi opera per l’accoglienza e l’integrazione con specifici progetti e fondi". Il ruolo della Chiesa a favore di chi è nel bisogno. La fede? "Un ruolo determinante"

Solidarietà e comunità: sono i due termini sui quali insiste Giuseppe Guzzetti, lombardo di Turate (Como), classe 1934, presidente e “volto” della Fondazione Cariplo, per descrivere le attività e lo spirito con cui la Fondazione – creata nel 1991 e della quale è presidente dal 1997 – opera in campo sociale e filantropico. Lunedì 8 aprile, al Teatro alla Scala di Milano, è in programma una kermesse (diretta streaming dalle ore 10.30 su http://fondazionecariplo.it) che chiuderà il mandato degli organi direttivi attualmente in carica. “Futuro (per il) Prossimo” il titolo della manifestazione. A maggio Guzzetti lascerà, dopo tanti anni, la massima carica: alla Scala presenterà in particolare i risultati degli ultimi sei anni; dal 2013 al 2019 (periodo di quest’ultimo mandato) Fondazione Cariplo, che ha un patrimonio di 7 miliardi di euro, “ha donato quasi un miliardo di euro – la cifra esatta ammonta a 969.902.600 euro – per la realizzazione di 6.714 progetti di utilità sociale”; un “impegno filantropico che ogni anno ha visto coinvolta la Fondazione, mediamente, in 1.119 iniziative a cui sono stati destinati 161 milioni di euro”, spiega un documento preparato in vista di lunedì. Si tratta di progetti che hanno interessato il settore ambientale, l’ambito culturale, la ricerca scientifica, il campo sociale, le povertà, il problema-casa. A queste iniziative “si aggiungono 219 progetti realizzati insieme alle Fondazioni di Comunità che operano in Lombardia e nelle province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola, con un impegno economico di 124 milioni di euro”.

Presidente, perché insiste sul binomio solidarietà-comunità?
Siamo in un’epoca di globalizzazione, il pianeta è diventato un villaggio: viviamo cambiamenti profondi che tante volte ci spiazzano, ci intimoriscono. Ebbene, la comunità è il luogo, il territorio, l’ambiente in cui viviamo, in cui creiamo relazioni, in cui crescono i nostri giovani. Abbiamo bisogno di rafforzare le nostre comunità con lo stile della solidarietà per migliorare gli standard di vita, per sentirci sicuri, pur mantenendo i nostri orizzonti aperti al mondo. Come Fondazione sosteniamo, fra l’altro, il progetto “welfare di comunità” che affronta diversi temi: dalle politiche per i giovani ai bisogni delle persone con disabilità, dalla vulnerabilità ai servizi di cura, dalla salute mentale al welfare aziendale, fino all’accoglienza diffusa dei richiedenti asilo. Cerchiamo di mobilitare le stesse comunità per far emergere le risposte ai bisogni diffusi in una determinata realtà locale. La democrazia partecipativa passa anche da lì, e ne abbiamo bisogno.

C’è dunque uno stretto rapporto tra territorio e comunità…
Il nostro territorio è ricco di iniziative di volontariato, di associazioni che si mettono al servizio delle persone, che si danno da fare per migliorare la qualità della vita. Territorio e comunità divengono una cosa sola, con la presenze delle imprese, il ruolo degli enti pubblici, il terzo settore, le attività caritative ed educative delle comunità religiose. Di problemi ce ne sono molti anche in Lombardia, ed è per questo che ci mobilitiamo: essere e fare comunità significa rispondere alle necessità di chi ha maggior bisogno, per non lasciare indietro nessuno. Tra Milano e Lombardia abbiamo un Pil elevato, buoni servizi pubblici, un tessuto economico ancora vivace, ma abbiamo anche – non ce lo possiamo mai dimenticare – 21mila bambini che vivono in povertà e 260mila giovani che non lavorano né studiano. Ci sono tante persone che chiedono un soldo per vivere. Sono solo esempi: potremmo citare anche le famiglie che non arrivano alla fine del mese, chi non ha lavoro, i giovani che non riescono a trovare casa a prezzi accessibili, gli immigrati che rischiano di restare ai margini della società. Non possiamo chiudere gli occhi, non vogliamo rischiare di avere due “lombardie”, una ricca e una povera! Pensiamo anche alle periferie delle città: a Milano il sindaco Sala sta prendendo ottime iniziative in proposito, ma non succede ovunque così…

Tra Lombardia e Piemonte orientale c’è ancora una presenza radicata e vivace della Chiesa. Un alleato per far crescere una comunità?
Certamente! Qui c’è una lunga tradizione di cattolicesimo sociale, una Chiesa che non solo vede i problemi, ma fa del vangelo una guida per l’agire sociale. Penso al fondo “Famiglia e lavoro” creato dal cardinale Tettamanzi a Milano per aiutare le famiglie colpite dalla crisi economica. E poi c’è tutta una tradizione di impegno ecclesiale in ambito educativo e assistenziale, con il lavoro delle Caritas. Aggiungo l’opera svolta da parrocchie e diocesi per l’accoglienza dei migranti. Segni e interventi positivi, che ci devono interrogare…

Ha parlato di migranti. C’è chi ci specula sul piano politico, voi invece avete un’altra posizione.
Fondazione Cariplo sostiene chi opera per l’accoglienza e l’integrazione con specifici progetti e fondi. Dobbiamo attrezzarci per evitare l’esclusione sociale, l’emarginazione, che fra l’altro porterebbero con sé ulteriori problemi, fra cui la paura del diverso, dello straniero; timori che a loro volta generano atteggiamenti di scontro, di odio, di esclusione. Ne vediamo anche in questi giorni.

Negli anni della sua presidenza, Fondazione Cariplo ha esplorato nuovi ambiti di azione. Non è vero?
Abbiamo fatto dell’innovazione un’altra parola-guida, anche quando si trattava di intraprendere nuove strade nelle quali non eravamo sicuri dei risultati. Ad esempio tutto il campo dell’housing sociale, per andare incontro a esigenze crescenti di famiglie, giovani, lavoratori, studenti fuori sede, immigrati. Ho in mente inoltre certi progetti in campo artistico e culturale, interventi a salvaguardia dell’ambiente. Nel futuro il tratto dell’innovazione – per andare incontro alle nuove sfide dei tempi che cambiano – sarà sempre più necessario. Ecco, il futuro: mi pare che in questi anni abbiamo costruito tanto e sono sicuro che tutto questo andrà avanti ancora. Questo è per me, che lascio Fondazione Cariplo dopo 22 anni, è una certezza e una consolazione.

Presidente, un’ultima domanda, più personale. Nel suo impegno professionale, politico (presidente della Regione Lombardia tra gli anni ’70 e ’80, poi senatore della Repubblica), quanto ha contato la sua fede?
Che domanda! – sbotta Guzzetti –, è stata determinante. Sono cresciuto in oratorio, con preti attenti al “sociale”, che ci hanno insegnato a guardare avanti. Educatori esigenti, socialmente aperti. E poi gli studi al collegio arcivescovile, l’Azione cattolica, le Acli: tutte esperienze in cui credo di aver maturato quelle scelte che poi hanno segnato la mia vita. E ne sono felice.

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