Dopo le manifestazioni di Roma e Torino. Pombeni: “Si allarga il fossato tra società civile e società politica”

Tra i problemi interni e internazionali collegati alla manovra di bilancio e il varo di provvedimenti legislativi molto controversi, il Paese registra anche un fatto nuovo sul fronte della partecipazione: le manifestazioni autoconvocate che a Roma e a Torino hanno espresso il dissenso di una parte dell’opinione pubblica nei confronti dei sindaci in carica. Ne parliamo con Paolo Pombeni, storico e politologo, uno dei più autorevoli analisti della politica italiana

(Foto: AFP/SIR)

La delicatissima fase politica che il Paese sta attraversando, tra i problemi interni e internazionali collegati alla manovra di bilancio e il varo di provvedimenti legislativi molto controversi, registra anche un fatto nuovo sul fronte della partecipazione: le manifestazioni autoconvocate che a Roma e a Torino hanno espresso il dissenso di una parte dell’opinione pubblica nei confronti dei sindaci in carica. E’ proprio da qui che partiamo per fare il punto della situazione con Paolo Pombeni, storico e politologo, uno dei più autorevoli analisti della politica italiana.

Le manifestazioni di Roma e di Torino, nate per un’iniziativa di cittadini “dal basso”, rivelano che qualcosa si è messo in movimento nel Paese o si tratta di episodi isolati? E dove possono portare?
Credo che qualcosa si sia messo veramente in moto sull’onda di quel cambio di atteggiamento nei confronti della politica che è anche all’origine dell’attuale assetto politico. Dove questo possa portare è una questione tutta definire.

Non sempre questi movimenti preludono a trasformazioni radicali, tanto meno in tempi brevi.

Persino il ’68, di cui si sta ricordando il cinquantenario, per molti anni non ha determinato cambiamenti rilevanti.

Colpisce che in entrambi i casi questa mobilitazione si sia rivolta contro due sindaci la cui elezione ha rappresentato a suo tempo il primo importante segnale di una nuova fase politica.
Direi che il problema è ancora una volta l’allargamento del fossato tra società civile e società politica.

Sì, ma a parti invertite rispetto a poco tempo fa.
E’ abbastanza normale quando si mettono in moto certi meccanismi. Non si può pretendere, poi, di poterli cavalcare a comando. C’è un motto latino che viene attribuito a Bismarck, uno che di politica si intendeva, e che così recita: unda fert nec regitur, l’onda ti porta e non la puoi governare.

Se alle manifestazioni di Roma e Torino aggiungiamo anche le proteste per il mancato blocco della Tap in Puglia, si nota che è sempre il M5S a esserne il bersaglio politico e non la Lega.
La Lega è una forza conservatrice, com’è tipico di un movimento di destra, ed è quindi più attenta agli equilibri sociali, magari anche a quelli meno commendevoli. E poi governa da molto tempo e con successo in tante realtà. Il M5S, invece, cavalca una protesta generica e spesso sostiene tutto e il contrario di tutto, il che lo espone più facilmente all’accusa di aver tradito le promesse. Però, quando si allontana dal sentire comune com’è accaduto con il disegno di legge Pillon sull’affido condiviso, anche la Lega può diventare bersaglio di una reazione collettiva.

Al momento i problemi principali per Salvini sembrano arrivare dal contesto internazionale. Il progetto di un fronte “sovranista” si scontra con sempre maggiore evidenza con le chiusure dei potenziali alleati, che anche sulla manovra economica – dopo la questione migranti – si sono rivelati gli avversari più duri della posizione italiana.
E’ inevitabile che sia così. Con il sovranismo ogni Stato si chiude nella sua cittadella.

Soltanto se c’è un nemico terzo che tutti possono tenere fuori è possibile pensare a un sovranismo internazionale.

Altrimenti ognuno torna ai propri egoismi e a quelli che ritiene gli interessi del proprio elettorato nazionale.

Con la legge di bilancio, come si temeva, i nodi sono venuti al pettine. La situazione economica si fa stagnante, il braccio di ferro con l’Europa ci isola e sui mercati si bruciano ogni giorno risorse ingenti. Le cronache politiche cominciano a registrare interrogativi sulla durata del governo. Lei che cosa ne pensa?
Il governo finché può regge perché a nessuno dei due alleati conviene rompere. La prospettiva di elezioni anticipate a breve è difficile e rischiosa per entrambi. E poi comunque servirebbe un governo per gestire i tempi necessari e nessuno dei due partiti vuole un esecutivo tecnico. La situazione economica è pesante ma non è ancora insostenibile.

L’Italia sta già pagando un prezzo salato sui mercati internazionali, ma questo l’opinione pubblica ancora non lo percepisce.

Con l’Europa siamo al teatro dell’assurdo. Il governo italiano sembra che stia dicendo: lasciateci fare, tanto quello che abbiamo dichiarato non lo faremo realmente. A sua volta l’Europa minaccia sanzioni ma è come se dicesse: lasciateci gridare, tanto poi non vi puniremo. Il problema kafkiano è che ognuna delle parti ha bisogno di salvare la faccia e non si vede come uscirne. Così ci ritroviamo in una palude in cui è molto difficile governare e con un Paese in bilico. Un Paese, mi lasci dire, che appare sempre più disamorato di tutto. E questa è la situazione peggiore.

Abbiamo parlato dei partiti di maggioranza. Ma le opposizioni dove sono finite?
Sono praticamente scomparse. Forza Italia non ha una linea né una guida, con Berlusconi che è un leader sopravvissuto a se stesso e gli eletti che appartengono a un certo mondo, come ha rivelato la vicenda del voto favorevole al condono per Ischia da parte di alcuni senatori. Il Pd è prigioniero delle lotte tra le sue fazioni, di cui non interessa a nessuno al di fuori del partito, e appare sempre più incapace di dire una parola all’esterno. Non si tratta di avere un progetto alternativo in teoria, il vero nodo di un partito è quali spazi intenda dare realmente alle forze profonde del Paese perché possano agire attraverso di esso.

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