A Roma il primo dei “Giardini della memoria e dell’accoglienza”

Inaugurato a Roma, nel quartiere San Saba, uno dei “Giardini della memoria e dell’accoglienza”. L’iniziativa, promossa dal Centro Astalli nelle sette città in cui opera, per non dimenticare le vittime dell’immigrazione e sottolineare il valore della cura e della solidarietà

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Questo corpo così assettato e stanco forse non arriverà fino all’acqua del mare”. Le parole della poesia scritta da Zaher Rezai, un bimbo afghano trovato a Mestre nel 2008 schiacciato dal Tir sotto cui si era nascosto, risuonano nel parco pubblico di piazza Bernini, nello storico quartiere romano di San Saba. A leggerle, con la voce incrinata dall’emozione, è Franck Tayodjo, originario del Camerun, arrivato in Italia 15 anni fa viaggiando nella stiva di un aereo ed accolto nel Centro “San Saba”. Oggi non ha voluto mancare, insieme agli operatori e volontari del Centro Astalli, ai rappresentanti delle istituzioni, agli abitanti del quartiere e agli studenti del Liceo Morgagni, alla cerimonia di inaugurazione di uno dei “Giardini della memoria e dell’accoglienza”, voluti proprio dal Centro Astalli per non dimenticare quanti sono morti nel tentativo di raggiungere le coste del nostro Continente e per ricordare il valore della cura e della solidarietà.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

A Roma, come a Catania, Palermo, Trento, Vicenza, Padova e Napoli. “Un albero piantato è qualcosa di cui prendersi cura. Un albero, in un giardino che esiste e fa parte della storia città, è qualcosa in più che aumenta la diversità e rappresenta dunque un invito all’accoglienza delle diversità ma anche ad un prendersi cura reciproco di chi arriva e di chi accoglie”, spiega padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ricordando che “abbiamo scelto un giardino nel cuore della città perché riteniamo importante che tutti i cittadini, compresi quelli di nuovo arrivo, possano assumersi la responsabilità dell’accoglienza e della memoria”.
“Mentre in Italia e in Europa soffiano venti di intolleranza, vogliamo sensibilizzare le persone ad un’assunzione di responsabilità: perché si accolga chi arriva e perché chi arriva viva a pieno la propria cittadinanza”, afferma ancora il gesuita che, nel ribadire “l’apertura al dialogo” con le Istituzioni, evidenzia l’urgenza di “porre al centro le persone”. “Prima di tutto il salvataggio. Poi – scandisce – l’accompagnamento e l’accoglienza non devono mai venire meno”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“L’esigenza dell’accoglienza non è rimandabile, non è procrastinabile”, gli fa eco mons. Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare del settore Centro della diocesi di Roma e segretario generale del Vicariato, per il quale “il Vangelo non possiamo viverlo a compartimenti stagni e nel Vangelo è chiaro l’invito di Gesù: ‘ero straniero e mi avete ospitato, ero forestiero e mi avete accolto’”. “Se vogliamo continuare ad annunciare il Vangelo, inculturandolo nel tempo in cui siamo, con tutta la complessità e le tensioni che ci sono – dice – dobbiamo essere coraggiosi nel testimoniare il valore dell’accoglienza, dell’altro, dell’incontro e del dialogo”. Trovando “le modalità per far sì che tutto questo sia compatibile con la serenità e la quotidianità delle persone che vivono nelle nostre città”.
Prima di benedire l’albero di alloro, mons. Ruzza mette in luce l’importanza di “invitare le persone della città, in un luogo significativo e molto bello, a fare memoria di quello che è stato: abbiamo il dovere morale e civile di non dimenticare gli eventi drammatici del passato”. “Come facciamo memoria di della tragedia della Seconda guerra mondiale, delle altre guerre che ci sono state e di quella che papa Francesco chiama la terza guerra mondiale tuttora in atto, così – osserva – dobbiamo fare memoria del grande fenomeno delle migrazioni, che non dobbiamo vedere come preoccupante, ma come risorsa e opportunità”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Del resto, continua Giulio Pelonzi, consigliere comunale di Roma, “considerare la diversità come ricchezza” rappresenta “uno spartiacque tra la civiltà e la non civiltà”. “Dalla comunità locale, come questa che è un esempio di accoglienza e integrazione, fino all’Europa a e alle Nazioni Unite – è l’invito del consigliere comunale – dobbiamo stringerci attorno alle Carte che sono state scritte dopo le guerre e difendere quei principi nelle Istituzioni perché se dovessero cambiare quelle Carte ritorneremmo a tempi di guerra”.
“Siamo qui per fare memoria delle 368 vittime del naufragio del 3 ottobre 2013”, aggiunge Sabrina Alfonsi, presidente del I Municipio, evidenziando che da quella data continuano i morti nel Mediterraneo, “nell’indifferenza del Governo e delle Istituzioni”, e che è necessario “individuare percorsi perché i migranti possano avere una nuova vita”. “Nei loro occhi noi rivediamo la nostra storia”, confida Fabrizio Fantera, figlio di Bruno, “Giusto tra le nazioni” che nascose e salvò una famiglia di ebrei. “Questo – conclude – è un luogo accogliente che storicamente ha sempre tenuto insieme le persone, dove i bambini frequentano l’oratorio che si trova accanto al Centro per i rifugiati, dove si vive la condivisione e la fraternità”.

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