Rapporto Unctad: la digitalizzazione non riduce le disuguaglianze

Il criterio preferibile è la convergenza di investimenti pubblici e privati. Da sole però non bastano. Come non sono la soluzione bassi tassi di interesse prolungati, un sollievo di breve per chi è indebitato. Gli analisti delle Nazioni Unite credono maggiormente a un rilancio del multilateralismo, quei rapporti di scambio fra Paesi e aree, regolati e culturalmente sostenuti dall'avvicinamento fra i popoli. Una terza via che non è nuova eppure appare modernissima se confrontata con la brutale selezione dei mercati senza regole o con la chiusura dei cancelli delle dogane

Le politiche economiche non hanno favorito la riduzione delle disuguaglianze fra i popoli. Non ci sono riuscite con i classici meccanismi di mercato. E ora l’egoismo delle guerre commerciali, dazi per privilegiare ciò che è all’interno dei propri confini e riportarvi ciò che è finito fuori, non potrà che sbarrare la strada a quei Paesi emergenti deboli che si stavano affacciando a stagioni di relativo benessere. Solo la Cina, per dimensioni e potenza, ha vinto ed è ormai fuori dal processo di emarginazione che inghiottirà altre aree in faticoso miglioramento. C’è l’osservazione dei numeri, e un’amarezza di fondo, nell’ultimo rapporto dell’Unctad (United Nations Conference on Trade and Development) illustrato presso la Radio Vaticana con il cardinale Peter K. A. Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, e per Unctad Stephanie Blankenburg e Piergiuseppe Fortunato. Siamo lontani dall’equa distribuzione del lavoro, della ricchezza, dello sviluppo del commercio come occasione di dialogo e democrazia.

In più passaggi gli economisti dell’Organismo delle Nazioni Unite sottolineano come l’involuzione non potrà avvicinare i popoli e neppure, in una visione puramente materiale, far ruotare il benessere in aree ogni volta diverse.

Non è scontato che le imprese più affamate guadagneranno spazio e si indeboliranno quelle più affermate. La stessa digitalizzazione, se non governata, può creare poche piattaforme ricchissime e quasi monopoliste. Capaci di schiacciare produzioni e creatività locale.
“La progressiva digitalizzazione dell’economia globale – ha notato Mukhisa Kituyl, segretario generale dell’Unctad – rischia di favorire un’ulteriore concentrazione dei benefici derivanti dal progresso tecnologico tra un ristretto numero di fortunati first movers”. Coloro che per capacità di finanziamento e regolamentazione sono arrivati primi hanno conquistato tutto lo spazio e hanno schiacciato ogni concorrenza.
Il contesto di dichiarato neoliberismo e l’assenza di controlli adeguati “ha permesso ad alcune grandi imprese di sfuggire alla supervisione dei governi nazionali ed espandersi in alcune aree di profitto. il grande business ha di fatto trasformato l’estrazione e l’elaborazione dei dati in uno strumento per l’estrazione di rendite sempre maggiori, una cornucopia”.

E’ un nuovo tipo di petrolio, un’estrazione che non ha bisogno di accordi con governi territoriali. L’uso del digitale non è consentito a cittadini per informarsi e informare, le grandi piattaforme che erroneamente continuiamo a chiamare “social”, non forzano la mano ai regimi e aiutano lo sviluppano la democrazia.

Chiudono gli occhi pur di avere masse di dati da decine di milioni di cittadini. Da lavorare per esaudire i loro desideri e per crearne di nuovi a cui proporre merci.
Nei tanti stimoli proposti dal “Rapporto sul Commercio e lo Sviluppo 2018: Potere, piattaforme e la disillusione del libero scambio” prevalgono le preoccupazioni e spuntano alcune soluzioni. Per restare agli effetti della rivoluzione digitale, il rapporto suggerisce ai governi una politica di “prevenzione di comportamenti anticoncorrenziali da parte delle piattaforme digitali nonché del loro potenziale abuso nell’utilizzo dei dati”. Troppo spesso regalati – o svenduti – dai cittadini o dai governi, proprietari deboli nei confronti dei grandi operatori transnazionali dell’e-commerce. Ma sono proprio quei dati che “consentono l’accumulo delle rendite di posizione” e a tagliare la strada alla nuova concorrenza.
Ai paesi economicamente deboli viene rivolto il consiglio di “non prendere prematuramente impegni vincolanti di lungo termine in un settore come quello digitale in continuo cambiamento”. Il monopolio dei dati aggregati e scomponibili in mille criteri, aiuta il possessore che li possiede ed elabora. Unctad chiede attenzione agli Stati, anche quelli più piccoli e in difficoltà, perché non trascurino il valore del loro piccolo o grande “pozzo di petrolio” costituito dai dati di una popolazione.

Difficilmente sarà però la mano pubblica a guidare una crescita economica più equilibrata nelle varie aree mondiali.

Le infrastrutture vanno fatte (“Non sono solo malta e mattoni ma un ponte verso il futuro” – sostiene Kituyi) e aiutano. Il criterio preferibile è la convergenza di investimenti pubblici e privati. Da sole però non bastano. Come non sono la soluzione bassi tassi di interesse prolungati, un sollievo di breve per chi è indebitato. Gli analisti delle Nazioni Unite credono maggiormente a un rilancio del multilateralismo, quei rapporti di scambio fra Paesi e aree, regolati e culturalmente sostenuti dall’avvicinamento fra i popoli. Una terza via che non è nuova eppure appare modernissima se confrontata con la brutale selezione dei mercati senza regole o con la chiusura dei cancelli delle dogane.

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