Società e politica. Costalli (Mcl): “La democrazia dei peggiori possa essere scalzata da una democrazia dei migliori”

Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori che, dal 6 all'8 settembre, ha visto a Senigallia circa 500 quadri dirigenti riuniti per ascoltare interventi trasversali offerti da ospiti di spessore sul tema: “Dai diritti alla responsabilità. Un nuovo futuro per il Paese”. A chiusura della tre giorni di dibattito, è lo stesso Costalli a tracciare una panoramica complessiva sull'attualità

“Oggi, più che mai, è necessario ricostruire una politica di responsabilità che non potrà essere realizzata integralmente ed efficacemente senza un contesto ricettivo di riferimento, senza quella ‘maturità sociale’ che rappresenta la condizione sine qua non per riedificare la nostra società”. Parola di Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori che, dal 6 all’8 settembre, ha visto a Senigallia circa 500 quadri dirigenti riuniti per ascoltare interventi trasversali offerti da ospiti di spessore sul tema: “Dai diritti alla responsabilità. Un nuovo futuro per il Paese”. A chiusura della tre giorni di dibattito, è lo stesso Costalli a tracciare una panoramica complessiva sull’attualità.

Presidente, stilando un bilancio del seminario appena concluso, quali nuovi insegnamenti traggono i partecipanti?
Prima di tutto, uno spirito costruttivo. Noi dobbiamo superare la paura che attanaglia gran parte della società italiana e in particolare del mondo cattolico: non possiamo abbandonare la speranza. Dalle relazioni e dagli approfondimenti sui vari contenuti che abbiamo appena condiviso sono emersi spazi progettuali per i cattolici che non si vogliono arrendere, rimanendo con la schiena dritta. Questo appuntamento segna per il Movimento l’inizio dell’impegno annuale: un anno che intendiamo vivere con forza ed entusiasmo. La partecipazione, poi, è stata altamente qualificata, numerosa e ha visto la presenza di di tanti giovani.

Più volte ha riecheggiato il termine “controcorrente”…
Esatto, e vale la pena ribadire il concetto. Noi non possiamo diventare un angolo di piagnistei, di analisi negative e di ripiegamenti: ossia, un qualcosa che nulla a che fare con la nostra fede. Al tempo stesso questo non significa illudersi, né negare le difficoltà che abbiamo di fronte: vorrebbe dire, piuttosto, abdicare all’essere dirigenti, anche se di piccole realtà associative, ma animati da un vero slancio cristiano.

I cattolici provano rabbia, sono delusi dalle filosofie politiche delle ultime stagioni (basti pensare alla legge Cirinnà) e si avverte un sentimento di reazione.

Controcorrente è parlare di moderatismo – un’idea che spesso viene interpretata con accezione negativa -, è affrontare tematiche che nessuno osa esaminare e che toccano responsabilità e doveri. Con la consapevolezza di non voler rinunciare a tutti quei diritti per i quali abbiamo combattuto negli ultimi settant’anni.

Ritorniamo al 4 marzo scorso, alla partecipazione attiva dei cittadini e ai primi entusiasmi post elettorali: è ancora “luna di miele” o emerge una consapevolezza diversa sulle sfide concrete che attendono l’Italia?
Personalmente, credo che l’idillio dopo le elezioni c’è sempre e ancora prosegua, anche perchè come è emerso dal dibattito qui a Senigallia, i mezzi di comunicazione che influiscono sull’opinione pubblica sono martellanti e si pensa di essere ancora in campagna elettorale. Se invece vogliamo offrire una valutazione oggettiva, i punti raggiunti sono due: il Decreto dignità – su cui ho avuto già modo di esprimere più volte parere negativo – e il tema dell’immigrazione, nei confronti del quale sono stati presi provvedimenti contrastanti e contraddittori. L’aspetto favorevole comunque è che rispetto al passato

si è riaccesa l’attenzione sul confronto tra l’Italia e gli altri Paesi europei

(vedi la Francia e l’Ungheria) in fatto di accoglienza e solidarietà, ma i metodi con cui vengono gestiti alcuni passaggi risultano altamente discutibili. Compresa la recente vicenda della nave Diciotti.

E qual è l’Europa da auspicare?
Anzitutto, c’è da mettere in chiaro una cosa: l’Italia vuole stare o no in Europa? In campagna elettorale, se ricordiamo bene, i due partiti ora al Governo sostenevano di dover uscire. Se le istituzioni europee così come sono non ci piacciono, dobbiamo decidere se uscirne, appunto, oppure rimanere dentro e cambiarle. Per quanto mi riguarda, questa Europa non funziona: diamo all’Europa più Europa. La colpa è di Bruxelles? Bruxelles tuttavia decide solo per alcune competenze. Finora abbiamo unificato solo la moneta, ma avremmo dovuto accorpare anche i membri preposti alla politica di difesa, all’ordine pubblico, alla sicurezza internazionale.

Ripresa economica e politiche attive in Italia: molto se ne discute ma, di fatto, a che punto siamo?
In un periodo di difficoltà e trasformazione del mercato le politiche attive sono indispensabili ma da sole non bastano. C’è un ritardo nell’azione di governo e manca una visione di sviluppo del Paese.

Bisogna rilanciare un piano industriale, a partire dai nodi cruciali che riguardano il Sud: infrastrutture, servizi, occupazione.

Altrimenti, senza un progetto di rilancio e investimenti mirati, lo Stato rischia di convertirsi al mero assistenzialismo. L’unico organismo che davvero si prodiga per il Mezzogiorno è la Chiesa: conosco molti vescovi che fanno cose eccezionali in Campagnia, in Puglia.

Il mondo giovanile è alle prese con lo spettro della disoccupazione, tuttavia non possiamo non interrogarci sull’orientamento fornito dallo studio e sulla valenza della preparazione universitaria.
Abbiamo la fortuna, come Mcl, di osservare da vicino la realtà dei giovani e sulla formazione sento di riaffermare che è necessario uscire da una dimensione generalista. Sia in ambito accademico, sia nei nostri seminari, servono corsi di qualità, sul fronte ecclesiale, politico, scientifico. La scuola, in primis, va re-impostata su una logica formativa di indirizzo, chiarendo bene ai ragazzi quali prospettive li attendono poi nel mercato del lavoro. Non inganniamoci, però: questi sono correttivi tecnici che non sono sufficienti perchè, o c’è una seria ripresa economica, oppure è impossibile parlare di sviluppo occupazionale. Purtroppo, l’Italia è una nazione che non fa figli e nemmeno investe nelle nuove generazioni. Ci vuole una classe politica coraggiosa che guardi al domani e al dopodomani, non che si ripieghi sul presente a colpi di sondaggi e tweet per ottenere consensi.

Quale impegno attende, dunque, i cattolici nella politica e nel sociale?
È arrivato il momento di metterci seriamente in discussione affinché la democrazia dei peggiori possa essere scalzata da una democrazia dei migliori, in grado di riconoscere le differenze finora negate in nome dell’egualitarismo che tanti danni ha provocato all’Italia. In una fase così difficile della nostra storia civile – per molti aspetti anche pericolosa -, siamo chiamati a scommettere sulle nostre forze per vincere questa sfida, per ribaltare il pensiero comune dominante e riscrivere la storia attuale del Paese partendo da una nuova cultura civile, da quei princìpi condivisi che hanno da sempre accompagnato lo sviluppo della civiltà.

 

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