Libertà di stampa. Borrometi (giornalista sotto scorta): “Grazie al nostro lavoro si contribuisce a portare avanti la verità”

Il cronista, minacciato di morte dalla mafia, si racconta al Sir: dallo scambio epistolare con Daphne Caruana Galizia all'incontro, domenica scorsa, con Papa Francesco, dalla paura alla forza della fede, dalla solitudine all'orgoglio di fare il proprio dovere

“In questo momento la libertà di stampa nel mondo è seriamente a rischio. In Afghanistan nove giornalisti pochi giorni fa hanno perso la vita per documentare ciò che continua ad accadere in quel Paese. Non si può non ricordare Daphne Caruana Galizia, saltata in aria con un’autobomba proprio come sarebbe dovuto accadere a me. E neppure Jan Kuciak, anch’egli probabilmente ucciso da mano mafiosa”. A parlare al Sir, nella Giornata mondiale per la libertà di stampa, che ricorre oggi, è Paolo Borrometi. Il giornalista siciliano, 35 anni, vive sotto protezione, dopo le minacce e le “condanne a morte” ricevute da alcune famiglie mafiose in seguito alle inchieste pubblicate, che svelano i loro interessi sulle aziende locali e scenari di corruzione e traffico di droga. Dallo scorso dicembre è presidente dell’associazione Articolo 21, che promuove l’articolo della Costituzione da cui prende il nome.

Intimidazioni in Italia. Volgendo lo sguardo all’Italia, il cronista definisce “costanti” le intimidazioni nei confronti dei giornalisti. “Colpire il cronista non è solo proprio delle mafie ma anche di piccoli potenti di turno. Ed è diventato quasi un tiro al piccione con troupe aggredite e colleghi insultati sui social network. Minacce mafiose costringono una decina di colleghi assieme a me a vivere sotto costante protezione delle forze dell’ordine, che ringrazio”. “Ci lamentiamo spesso dello Stato e di quello che non va – afferma il cronista -, ma nel mio caso sono vivo grazie allo Stato. Le forze dell’ordine di Ragusa e Siracusa e la magistratura di Catania sono riuscite a prevenire quello che era un attentato pianificato in ogni dettaglio”. Il riferimento è a una recente operazione della polizia di Pachino dalla quale sono emerse intercettazioni ambientali secondo cui la mafia stava preparando un attentato per uccidere Borrometi. “Non riesco a rileggerle. So bene che non riguardano solo me ma anche i ragazzi della scorta. È stato un momento durissimo e di enorme paura”.

I contatti con Daphne Caruana Galizia. Nel 2013 la giornalista maltese scrisse a Borrometi chiedendogli di potere pubblicare una sua inchiesta sulla vendita della cittadinanza maltese per essere riconosciuti cittadini europei. Lui acconsentì. “La ricordo come una donna dolce ma dura. Da allora abbiamo avuto un rapporto solo epistolare, purtroppo. Io non l’ho mai incontrata, ma abbiamo continuato a scriverci”. Una delle mail più preziose ricevuta dal cronista siciliano fu quella che gli arrivò due giorni dopo l’aggressione subita, il 16 aprile 2014. “Mi scrisse un messaggio affettuosissimo, in cui mi diceva che noi facciamo un mestiere difficilissimo ma dobbiamo avere la responsabilità di informare le nostre comunità. Quindi, con un tocco di dolcezza e di affetto, ma anche con una decisione enorme mi invitava a

continuare a fare il nostro dovere”.

L’incontro con Papa Francesco. L’altro momento indelebile nella memoria di Paolo Borrometi è datato 29 aprile 2018, il giorno dell’incontro con Papa Francesco. “Ho trovato davanti a me un uomo con una grande serenità, semplicità e umiltà. Un uomo che mi ha assicurato la sua preghiera, ma che in quei quaranta minuti mi ha fatto tante domande di cui sapeva le risposte. Mi ha detto che si era svegliato presto quella mattina per documentarsi sulla mia vita. Mentre piangevo mi stringeva la mano, mi ha sorriso e mi ha detto ‘abbracciami se vuoi’”. Per il giornalista

“è stata una carezza che il Papa ha dato a un cuore sanguinante di paura e sofferenza”.

“Vivo un momento di enorme paura, soprattutto dopo aver saputo dell’attentato preparato per uccidermi, lenita dai suoi gesti. Abbiamo ripercorso le intercettazioni e ho raccontato dell’aggressione di 4 anni fa”. Al centro della loro conversazione anche la consuetudine dei mafiosi di conservare immagini sacre. “Lì il Papa è stato durissimo: ha detto che ‘i mafiosi si sentono cristiani ma non lo sono assolutamente’”.

La vita sotto scorta e la forza della fede. Dall’agosto 2014, a causa delle continue minacce e dopo l’incendio della porta di casa, il giornalista vive sotto scorta. Da allora qualcosa è cambiato nella sua vita. “So bene che è una vita dove manca la quotidianità, in cui è impossibile andare a un concerto o a una manifestazione con centinaia di persone. Ad esempio, non vado a fare una passeggiata sul lungomare nella mia città da cinque estati”. Borrometi, però, guarda il bicchiere mezzo pieno. “Ho perso un pezzo della mia libertà privata ma ho conservato una libertà più importante, quella di poter fare il mio dovere”. Appiglio nelle notti insonni e sicurezza nella paura. Così il giornalista descrive la fede che “mi ha sorretto in tanti momenti di solitudine”. “Vivo a centinaia di chilometri da casa mia, lontano dai miei affetti e dai miei amici. Quel senso di solitudine, quella paura, quelle immagini dell’aggressione dell’aprile 2014 continuano a non rendere serene le mie notti. In quei momenti, nella preghiera, ho sentito un grande conforto”.

Il diritto a essere informati. Borrometi ricorda l’importanza di una lettura completa della libertà di stampa. “Dobbiamo ricordarci che l’articolo 21 della Costituzione afferma il diritto e il dovere di informare ma anche e soprattutto il diritto dei cittadini a essere informati. Ciò è possibile solo grazie all’impegno quotidiano e costante di ognuno di noi”. Perché “grazie al nostro lavoro si contribuisce alla ricerca della verità”. “Il nostro dovere è quello di parlare con la gente, fare domande con la consapevolezza che la gente sarà libera di decidere da che parte stare solo quando conoscerà la verità ed è una nostra responsabilità. Tante persone mi hanno chiesto verità. È un impegno da portare avanti ogni giorno”.

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