Puntare sulle città per rilanciare il Sud. Giuseppe Roma (Rur): “Abbiamo tante repubbliche autonome e gli investimenti si disperdono”

Le città possono essere una chiave di rilancio del Sud, a patto di riuscire a fare “sistema” tra loro e di non continuare a concepire lo sviluppo soprattutto come un inseguimento del Nord. Lo argomenta in questa intervista Giuseppe Roma, docente universitario di gestione urbana e segretario generale della Rete urbana delle rappresentanze (Rur), dopo essere stato per tanti anni direttore generale del Censis

“Al perdurante divario macro territoriale fra Centro-Nord e Mezzogiorno si sta affiancando anche un’ulteriore disuguaglianza relativa relativa ai territori metropolitani localizzati nell’area centro-settentrionale (valga per tutto la concentrazione a Milano di risorse, investimenti e poteri) e l’emarginazione dai grandi flussi internazionali delle pur rilevanti metropoli meridionali”. E’ la riflessione che viene dallo Svimez a poche settimane dalle anticipazioni del rapporto che ogni anno fa il punto della situazione del nostro Mezzogiorno. Ma proprio le città possono essere una chiave di rilancio del Sud, a patto di riuscire a fare “sistema” tra loro e di non continuare a concepire lo sviluppo soprattutto come un inseguimento del Nord. Lo argomenta in questa intervista Giuseppe Roma, docente universitario di gestione urbana e segretario generale della Rete urbana delle rappresentanze (Rur), dopo essere stato per tanti anni direttore generale del Censis.

Dunque la linea di frattura Nord-Sud passa anche attraverso le città…

Il divario diventa evidente oggi proprio nella funzione delle grandi aree urbane. Il divario sussisteva anche in precedenza, ma prima il baricentro era spostato più a sud perché tra il Mezzogiorno e Milano c’era Roma. Oggi però anche Roma è in crisi. Eppure 7 aree metropolitane su 14 sono nelle regioni meridionali. Il rischio è che queste realtà istituzionali non corrispondano a un ruolo effettivo e che si determini l’ennesima burocratizzazione di tipo pubblicistico di un fenomeno che invece ha profonde implicazioni strutturali.

Ma che cosa dovrebbero fare le aree metropolitane del Sud per mettersi al passo di quelle del Nord?

Non imposterei il discorso in questi termini. Dobbiamo infatti prendere atto che non solo in Italia, ma in tutti i Paesi in cui è presente un forte dualismo territoriale, persino geograficamente, le politiche d’integrazione concepite come inseguimento di un’area rispetto all’altra non hanno avuto successo. Allora,

invece di continuare nell’inseguimento Sud-Nord, proverei a esplorare un’organizzazione dei territori specifici del Mezzogiorno in termini di sistema, analogamente a quanto è stato fatto nel Nord-Est.

In altre parole, pensare al sistema delle città del Sud come motore dello sviluppo del Mezzogiorno. Un’area che deve recuperare anche la propria autorevolezza geografica: non dimentichiamo che ha gli stessi abitanti dell’Australia.

Come lo immagina questo sistema delle città del Sud?

Non si può che partire dalla realtà. Il Sud ha in tutta evidenza due centri principali, che sono stati anche storicamente delle capitali: Napoli e Palermo. Sono come i due fuochi di un’ellisse. Accanto a questo asse è possibile pensarne un altro, ortogonale. Per esempio Cagliari-Bari. Attenzione, non si tratta di lasciare sguarnito il resto del territorio, ma di potenziare questi assi perché intorno ad essi si possa far ruotare tutto il sistema. Perché fare sistema richiede che si individuino delle specializzazioni e delle forme di integrazione. E’ il contrario del localismo. Oggi abbiamo tante repubbliche autonome e gli investimenti si disperdono in un insieme indistinto.

Insomma, le regioni meridionali devono essere capaci di fare sistema in autonomia e non limitarsi a inseguire le regioni del Nord.

Prendiamo il caso della Puglia che ha tutti i caratteri di una ‘regione urbana’ in senso proprio e potrebbe diventare un sistema integrato. Ma adesso anche dalla Puglia bisogna andare a Milano per troppe esigenze e questo non può funzionare.

Agganciarsi a un’area più sviluppata ha senso soltanto se si tratta di una regione limitrofa. E’ accaduto con il Veneto rispetto alla Lombardia. Veneto che, non dimentichiamolo, partiva da condizioni per certi versi analoghe a quelle del Sud ed è diventato quello che conosciamo.

Per le regioni meridionali puntare all’aggancio di quelle settentrionali diventa un motivo per non crescere mai. Mentre il Sud con le sue città ha le risorse per costruire il proprio sviluppo mettendosi insieme e facendo sistema.

E a livello nazionale?

Innanzitutto occorre una doppia discontinuità culturale. Il Nord deve smettere di guardare con diffidenza il Sud e questo deve smettere di guardare allo Stato centrale soltanto per lamentarsi delle sue inadempienze. Dopo di che è assolutamente necessario un progetto nazionale, sia per l’apertura a una dimensione più ampia come quella europea, sia per ricompattare il tutto ed evitare che siano i più forti e i più furbi a ottenere di più, come in un certo senso accade ora. Recentemente ho avanzato l’ipotesi di un ministro delle città. Ma non è il tipo d’incarico che conta, quanto la funzione. Lavorare sulle città, che vuol dire anche lavorare sulle periferie, sull’inclusione, sul superamento delle disuguaglianze., richiede un’autorità politica, non solo amministrativa. Da noi l’avvento dei sindaci eletti direttamente ha alimentato l’equivoco che non fossero più necessarie politiche nazionali per le città, che invece sono presenti in tutta Europa.

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