“Catechesi” di umanità: il cinema italiano anni ’50

Secondo appuntamento con “Catechesi di umanità”, approfondimento sul cinema italiano del Secondo dopoguerra a partire dalle parole di papa Francesco. I film: “Bellissima”, “Don Camillo”, “Pane, amore e fantasia”, “La strada” e “Il ferroviere”

Dopo lo sguardo neorealista affrontato nel primo approfondimento sul Sir, è il momento di raccontare il cinema italiano a partire dagli anni ‘50. La spinta neorealista dopo il 1948 inizia infatti ad affievolirsi e quell’indagare (“pedinamento”) la vita quotidiana del Paese che si rimette in movimento lascia spazio a un sentimento più leggero, i primi passi della commedia.

Papa Francesco a Milano ha invitato tutti a cogliere la bellezza sociale e spirituale presente in molti film del Secondo dopoguerra: “A me piacerebbe dire che quei film italiani del dopoguerra e un po’ dopo, sono stati – generalmente – una vera ‘catechesi’ di umanità” (Francesco, 25 marzo 2017).

Storie, pertanto, capaci di mostrare le difficili condizioni di uomini e donne in cerca di un modo per risollevarsi e ridisegnare un avvenire, nonostante un presente spoglio e piegato. Negli anni ‘50, dunque, molti autori continuano, sulla scorta della lezione del neorealismo, a raccontare i drammi della gente, le periferie umane in affanno, ma introducono anche il coraggio e la necessità di affrontare la situazione con un sorriso. E così si compongono quadri sociali in cui emergono pennellate scure, ma anche tinte di speranza. Un esempio è “Pane, amore e fantasia” (1953) di Luigi Comencini, che mostra un’Italia rurale, scalza come la Bersagliera (Gina Lollobrigida), ma piena di energia e voglia di cambiamento.

È un Paese pronto a voltare pagina, nonostante rimangano incertezze e smarrimenti.

“Bellissima” (1951) di Luchino Visconti

Fortemente influenzato dal neorealismo, ma anche segnato da evidenti discontinuità, è “Bellissima” (1951) di Luchino Visconti, scritto insieme a Cesare Zavattini, Francesco Rosi e Suso Cecchi D’Amico. Nel film si racconta il fascino del cinema, capace di innescare cambiamento sociale. Protagonista è Maddalena (Anna Magnani) che si ostina a voler ottenere un provino per la sua bambina. Le illusioni si infrangono ben presto dinanzi a una realtà cruda e triste. È un’opera che smaschera il cinema come favola per il successo, mettendone in mostre le pieghe problematiche. Da sottolineare il rapporto madre-figlia, l’importanza di ricentrare un legame su basi solide e sane, lontane dagli abbagli della società.

“Don Camillo” (1952) di Julien Duvivier

“Don Camillo” (1952) è il primo fortunato episodio cinematografico sul sacerdote di Brescello firmato da Julien Duvivier e uscito dalla penna di Giovanni Guareschi, dal romanzo “Mondo piccolo”. Interpretato da un indimenticabile Fernandel, è la storia del sacerdote don Camillo che anima il territorio e si scontra regolarmente con il sindaco comunista Peppone (l’ottimo Gino Cervi). I due identificano lo scenario politico-sociale dell’Italia degli anni ‘50: antagonisti ma mai pienamente avversari, pronti a trovare un punto di incontro. Significativo il ritratto di don Camillo, che diverrà negli anni un modello di racconto del sacerdote al cinema.

“Pane, amore e fantasia” (1953) di Luigi Comencini

Scritto da Luigi Comencini ed Ettore M. Margadonna, “Pane, amore e fantasia” (1953) è il primo capitolo di una serie di film con protagonisti Vittorio De Sica nel ruolo del maresciallo Carotenuto e di Gina Lollobrigida in quello della Bersagliera – subentrerà poi Sophia Loren in “Pane, amore e…” -. È la storia di un paesino dell’Italia contadina dove s’intrecciano amicizie e tenerezze fra uomini e donne della società del tempo; uno spaccato di una società che ha cambiato passo. Uno strappo per genere e stille rispetto al racconto del neorealismo – motivo anche di netta critica -, “Pane, amore e fantasia” fu accolto però con grande entusiasmo dal pubblico.

“La strada” (1954) di Federico Fellini

Interpretato da Giulietta Masina, Anthony Quinn e Richard Basehart, “La strada” (1954) di Federico Fellini è stato il primo film a ricevere l’Oscar come miglior film straniero nel 1957. Scritto dal regista insieme a Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano, il film propone con i toni della favola il cammino della giovane Gelsomina, sola al mondo, che si imbatte nello scontroso artista di strada Zampanò. Con loro Fellini ci mostra un’istantanea dell’Italia del periodo, tra sogni, illusioni e amare realtà. Fellini compone una poesia sull’umanità povera, ai margini della società. Personaggi ruvidi e malconci, guardati con tenerezza e misericordia. Un racconto denso di spiritualità.

“Il ferroviere” (1956) di Pietro Germi

Diretto, scritto e interpretato da Pietro Germi, “Il ferroviere” (1956) è un’opera che raccoglie le ultime suggestioni del neorealismo, in particolare per il racconto dolente del macchinista Andrea Marcocci e della sua famiglia, che vedono infrangersi la sicurezza economica e i valori condivisi. Germi ci mostra le prime crepe del tessuto familiare, e lo fa però con delicatezza, suscitando misericordia nei confronti del protagonista e dei suoi numerosi problemi. L’autore rivolge lo sguardo verso la classe operaia, che cerca di riprendersi dalle difficoltà sociali ma inciampa nelle proprie fragilità. È un invito alla comprensione e alla tenerezza.

(*) Commissione nazionale valutazione film Cei

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