Diario di Marco Pedde, malato di Sla: non è un Paese per disabili

Le barriere, gli ostacoli e le condizioni di discriminazione… tutto è creato in gran parte da una società distratta o smemorata che tende a dimenticare l’esistenza di chi si muove su sedia a rotelle, si orienta con un cane-guida, comunica senza poter usare la voce, si relaziona a cuore aperto

Questa settimana mi preme fare una breve riflessione su alcuni principi sanciti dalla Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone disabili. Questo documento, basato sulla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (“ciascun individuo è titolare di tutti i diritti e delle libertà ivi indicate, senza alcuna distinzione”), sancisce il diritto di ognuno di essere messo nella condizione di vivere, scegliere, partecipare, rimuovendo gli ostacoli e promuovendo soluzioni che ne consentano l’inclusione al pari degli altri.

Quella Convenzione ha rappresentato un passo molto importante nella evoluzione della terminologia utilizzata per definire e disciplinare il tema della disabilità secondo una definizione universale e rivoluzionaria che obbliga i Paesi firmatari a ratificare i suoi principi nel proprio ordinamento giuridico.

Purtroppo nel comune linguaggio italiano la concezione di disabilità è molto distante dall’accezione attribuita dall’Onu, intendendola e valutandola secondo logiche esclusivamente sanitarie. Il significato di disabilità è sempre in evoluzione in quanto la società intera progredisce. Questa marcata evoluzione è valida anche rispetto ad ogni persona le cui condizioni possono modificarsi. La persona può seguire percorsi di affinamento delle capacità o involversi, suo malgrado, in situazioni segreganti o discriminanti a causa di nuove barriere o ulteriori ostacoli. L’oggi potrebbe essere molto diverso dal domani. Il grado di disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e le barriere comportamentali (atteggiamenti, luoghi comuni, pregiudizi, prassi, omissioni) ed ambientali (luoghi, servizi, prestazioni inaccessibili, assenza di progettazione per tutti; assenza di politiche inclusive) che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società.

La disabilità cambia assieme all’interazione che la genera.

Ne consegue che è responsabilità (e dovere) istituzionale e della società nel suo complesso, riconoscere e saper rilevare questa dinamicità e valutare l’efficacia delle politiche generali e dei supporti alle persone.

Le barriere, gli ostacoli e le condizioni di discriminazione… tutto è creato in gran parte da una società distratta o smemorata che tende a dimenticare l’esistenza di chi si muove su sedia a rotelle, si orienta con un cane-guida, comunica senza poter usare la voce, si relaziona a cuore aperto.

Dalla Convenzione si comprende quanto sia più rilevante intervenire sulle cause di esclusione, discriminazione, assenza di pari opportunità, anziché commisurare, soppesare, graduare le menomazioni o il grado di dipendenza assistenziale.

In Italia viviamo realtà nelle quali sono stati efficacemente messi in pratica i principi ribaditi dalla Convenzione Onu, dove le persone con disabilità partecipano attivamente, al pari degli altri, alla vita sociale.

Purtroppo non mancano realtà in cui il livello di inclusione sociale è praticamente inesistente e dove la disabilità è vissuta addirittura come una segregazione.

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