Il grammelot? Nato dalla fantasia di un bimbo. Dario Fo si “confessa” e, a 90 anni, progetta il futuro

La rivista di strada "Scarp de' tenis" a colloquio con l'attore e drammaturgo, autore del recente "Dario e Dio". Il palcoscenico, la carriera condivisa con la moglie Franca Rame, il Premio Nobel. L'infanzia in riva al lago. Fino a san Francesco e a Papa Bergoglio

La copertina del numero di maggio di "Scarp de' tenis", mensile di strada promosso dalla Caritas

Un Premio Nobel può maturare anche fra le stradine ripide di un paesino adagiato sulle sponde del Lago Maggiore. Specie se il ragazzino curioso che scorrazza con una banda di amici si chiama Dario. E il suo cognome è Fo. Dario Fo. L’autore di “Mistero buffo” ha festeggiato il 24 marzo i suoi primi 90 anni. E, proprio per questo, snocciola progetti a non finire, elenca le tappe del suo tour e guarda avanti: perché alla morte, dice, “bisogna cercare di arrivare in surplace, senza che diventi un pensiero fisso, un freno ai programmi che hai, e io ne ho tanti. La morte non deve diventare l’ossessione dei vivi. Io sogno di morire con un programma pieno davanti a me, e dire: peccato! Non ho fatto in tempo a realizzarlo fino in fondo”. Fo si racconta – e un po’ si confessa – a “Scarp de’ tenis”, il mensile di strada promosso dalla Caritas, testata che ha appena compiuto 20 anni, in uscita domenica 1 maggio.

 

“Non montiamoci la testa”. Lo streetmagazine incalza Fo con domande sulla sua infanzia a Porto Valtravaglia (Varese), sulla carriera artistica (fra Rai, palcoscenico e scrittura di testi teatrali), sul Premio Nobel per la letteratura, nel 1997: “Vinsi insieme a Franca (la moglie, Franca Rame, sposata nel 1954, con la quale Fo ha diviso tutta l’esistenza, fino alla morte della consorte, nel 2013, ndr). Eravamo felicissimi. Storditi. Ci sembrava incredibile che stesse accadendo a noi”. Poi, racconta l’artista, “ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: non montiamoci la testa, bisogna ricominciare a lavorare con la stessa umiltà”. E “per meglio dimenticarci del Nobel mettemmo tutti i denari che ci arrivarono dentro il contenitore che ci sembrava adatto, quello del Nobel per i diseredati, li abbiamo dati a chi aveva davvero bisogno”.

 

Una lingua inventata. Il futuro drammaturgo confida episodi di un’infanzia felice e creativa. “Sono cresciuto a Porto Valtravaglia, sul lago Maggiore, un posto incantevole, in mezzo alla natura. C’era una vetreria dove veniva lavorato il vetro soffiato. Arrivavano da tutto il mondo i soffiatori di vetro: spiegavano i segreti di forme e tecniche differenti di lavorazione. Insieme alla loro sapienza portavano anche lingue diverse, venivano dal Medio Oriente, dalla Spagna, dal Nord Europa… Io ero un ragazzino e li ascoltavo parlare. A scuola scimmiottavo le lingue che sentivo e cercavo di farmi capire dagli altri compagni”. Quel sorriso e la mimica esagerata che lo contraddistinguono anche oggi facevano colpo sui coetani: “Mi guardavano come un folle. Ma la contaminazione dei suoni conquistò anche gli altri e insieme comunicavamo con le lingue inventate”. Il grammelot “nasce da lì, dalla strada. Perché la strada era il nostro mondo dei giochi, avevamo tantissimo spazio, non come in città. Ricordo che andavamo a giocare sulla riva del lago, o salivamo in montagna, in cerca di caverne. Un mondo straordinario per noi bambini”.

 

San Francesco… secondo me. Poi l’approdo alla televisione, i testi (e la censura) per Canzonissima, il teatro per i giovani, le battaglie civili, una maniera tutta sua – sempre condivisa con la moglie – di interpretare il presente. “Non potrebbe essere altrimenti. Siamo stati insieme da quando lei aveva 19 anni e io 21.

Tutta una vita… Abbiamo combattuto, gioito e lavorato insieme.

Abbiamo preso anche delle sleppe terribili da parte del potere che combattevamo”. Ma dall’alto dei suoi 90 anni Dario Fo non si ferma al passato e parla di tutto: cultura, politica, la “sua” Milano. Parla dell’uomo e della fede: “Quando penso all’uomo io guardo a san Francesco, ad esempio, che si è battuto tutta la vita contro il potere”. Fo ritiene che i punti fermi della biografia del Poverello di Assisi siano “la difesa dei diritti umani, l’aiuto ai deboli, l’onestà, la purezza”.

 

L’attore e il Papa. La sua ultima fatica è un libro, “Dario e Dio”. Daniela Palumbo, di “Scarp”, domanda: pensa che questo Papa riuscirà nella sua opera di cambiamento della Chiesa? “Chi può dirlo? Certo, ha cominciato bene – risponde, sornione, l’attore –. Le sue azioni sono di cambiamento e di rinnovamento: mi piace molto, è coraggioso, deciso. E soprattutto, ed è una cosa che pochi notano, è riuscito a relazionarsi con molte persone che lo sostengono e lo proteggono. Non è solo. Spero che riesca ad avere sempre quest’ensemble straordinario che gli dà la possibilità di agire”.

Altri articoli in Italia

Italia

Informativa sulla Privacy