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Comece: la “via europea” dei Balcani per costruire pace e sviluppo

Si intitola "L’integrazione europea dei Balcani occidentali – Promessa di pace e fonte di sviluppo?" il contributo della Comece in vista del summit di Sofia del 17 maggio. Si tratta di sei Paesi che da sempre appartengono alla famiglia europea, con una ricca eredità religiosa e culturale ma anche con tanti problemi da affrontare. Secondo il testo, nel processo di eurointegrazione un ruolo-chiave spetta alle Chiese e comunità religiose mentre il maggior impegno della Ue aiuterà la promozione della pace nella martoriata regione

Quindici anni dopo il summit Ue-Balcani occidentali di Salonicco, durante il quale la porta dell’Ue si era socchiusa per una prospettiva europea dei Paesi balcanici, questa parte del Vecchio continente è di nuovo al centro dell’attenzione delle istituzioni comunitarie. Anche la Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) ha deciso di fornire il proprio contributo a questo processo proponendo un documento intitolato “L’integrazione europea dei Balcani occidentali – Una promessa di pace e una fonte di sviluppo?”, in vista del prossimo vertice a Sofia il 17 maggio. L’analisi della Comece è frutto di un intenso dialogo con i vescovi delle Chiese cattoliche locali.

Ricca identità storica e culturale. “La Chiesa cattolica sostiene il progetto di integrazione europea della regione dal suo primo inizio”, si legge nel documento che cita le parole di Papa Francesco al “(Re)thinking Europe” dello scorso autunno. “L’Europa è chiamata a essere promessa di pace e fonte di sviluppo per se stessa e per il mondo intero”. Tra l’altro l’attenzione per i Balcani occidentali del Pontefice si nota anche nelle visite apostoliche nella regione: Albania nel 2014 e Bosnia-Erzegovina nel 2015. Proprio “grazie alla loro ricca eredità culturale e storica, i Balcani occidentali sono parte integrante della famiglia europea” e “punto di incontro tra l’Oriente e l’Occidente”, si afferma nel documento disponibile in inglese sul sito www.comece.eu. Per questo, secondo Comece, “nonostante le interferenze crescenti da parte di diversi fattori esterni” nella zona “non c’è una credibile alternativa oltre la via dell’integrazione europea”. Viste le attese positive che i cittadini dei Paesi balcanici hanno nei confronti dell’Ue “non bisogna creare delle false aspettative” ed è necessario “evitare di usare degli standard doppi o bloccare l’ingresso nell’Ue solo a causa di problemi bilaterali irrisolti”.

Integrare l’intera regione, non singoli Paesi. Nel documento della Comece si raccomanda di ammettere tutti i Paesi della zona nel processo di integrazione europea perché “un’integrazione più rapida solo per alcuni Stati potrebbe trasformarsi in causa di frammentazione e creare nuove divisioni nella regione”, tenendo presente “che i confini di Stato a stento seguono i modelli etnici e nazionali”. I sei Paesi balcanici cui si fa riferimento sono: Serbia e Montenegro che hanno già avviato i negoziati; Macedonia e Albania, in attesa di conferma dal Consiglio Ue per iniziare i negoziati; Bosnia-Erzegovina e Kosovo che si trovano all’inizio del processo di avvicinamento all’Ue.

Partenariato equo per un progetto rinnovato. Nell’analisi si suggerisce “che il processo di integrazione europea verso i Balcani occidentali si fonda su un partenariato equo, globale e responsabile”, che favorisca “lo sviluppo delle persone, delle famiglie e delle comunità in vista della riconciliazione e di una pace durevole”. Secondo il documento, “un maggior impegno dell’Ue nella regione” incentiverà “la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, l’indipendenza del sistema giudiziario e porterà maggiore trasparenza nelle finanze pubbliche”.

Il contributo regionale all’Unione. Visto che anche la stessa Unione deve dimostrare di essere pronta ad assumere nuovi membri, per i 28 Paesi-membri (tra poco 27, considerando l’imminente recesso del Regno Unito) non mancheranno alcuni vantaggi dall’integrazione dei Paesi balcanici con “la loro ricca eredità culturale e religiosa, mercati nuovi, una coesione sociale e regionale rafforzata e prospettive di una pace duratura e stabilità per il continente europeo”.

Disoccupazione ed emigrazione giovanile. Il documento della Comece riafferma la realtà molte volte descritta dai vescovi locali: “la situazione demografica difficile”, “l’alta emigrazione” e “la grande disoccupazione giovanile” che lacerano i Paesi dei Balcani occidentali. Per contrastare questi problemi l’impegno dell’Ue con politiche concrete potrebbe risultare molto utile, soprattutto per “l’occupazione di persone con meno opportunità come le donne o i rom”. In questo processo, un ruolo da sempre hanno anche le “Chiese e le comunità religiose”, in quanto fornitrici di servizi sociali, educazione e cure sanitarie.

Promuovere riconciliazione e pace. Tenendo presente la tragica storia dei Paesi della ex-Jugoslavia, dalla Comece emerge la convinzione che “per affrontare le sfide odierne è necessario chiudere con il peso delle violenze subite nel passato, adottando misure di giustizia di transizione”. “Senza giustizia non è possibile la riconciliazione e senza riconciliazione, non ci può essere una pace duratura”, si dichiara nel testo, precisando che in questo “l’Ue dovrebbe assumere un ruolo più attivo cercando degli approcci creativi” e “proteggendo e promuovendo i diritti di tutte le parti religiose ed etniche indipendentemente se rappresentano maggioranza o minoranza”. Come minaccia per la pace vengono descritti “i discorsi politici che tendono a strumentalizzare la memoria storica e riaprire le ferite del passato”. È necessario inoltre un “dialogo tra tutti i fattori-chiave nella zona, che potrà essere facilitato dalla simile lingua e dall’esperienza storica condivisa”.

Il ruolo di Chiese e comunità religiose. “Nell’integrazione europea è necessario preservare e promuovere la presente diversità religiosa e culturale”, visto che “per secoli i Balcani occidentali sono stati esempio di coesistenza interreligiosa”, si legge nel documento, che specifica: “La capacità del dialogo interreligioso di costruire dei ponti contribuisce in modo positivo agli obiettivi di lungo termine di sviluppo e di pace”, come sottolineato “nella recente dichiarazione congiunta dei vescovi austriaci e quelli della Bosnia-Erzegovina”. Questo dialogo tra le autorità politiche e religiose deve persistere anche in vista delle preparazione dei futuri summit Ue-Balcani occidentali.

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