Cosa ci insegna la vicenda di Vincent Lambert

Nessuno può negare che il tetraplegico francese sia un “disabile”. È gravemente cerebroleso, sì, ma è pur sempre e solo un portatore di handicap, non un paziente nella fase “terminale” della sua malattia, né un morente in stato di agonia o pre-agonia. Vincent Lambert è vivo

La drammatica vicenda clinica, umana e giudiziaria del tetraplegico francese Vincent Lambert di quasi quarantatré anni, affetto dalla “sindrome della veglia non responsiva” (stato di “coscienza minima plus”) e ricoverato presso il Policlinico universitario (CHU) di Reims, in Francia, ha impartito in tutta Europa una lezione incisiva, destinata a durare al di là della sua stessa vita. Un insegnamento che provoca la comunità civile del Vecchio Continente e scuote le coscienze dei credenti e dei non credenti. Nessuno può sentirsi escluso dalle implicazioni che la storia del signor Lambert ha per ciascuno di noi, i nostri genitori e i nostri figli, le generazioni future e la società e la cultura che prepariamo per loro.Anzitutto, il riconoscimento – anche da parte dell’autorevole Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità che ha accolto ed esaminerà l’istanza dei genitori di Vincent di non provocarne intenzionalmente il decesso – che egli è un “disabile”, gravemente cerebroleso ma pur sempre un portatore di handicap, non un paziente nella fase “terminale” della sua malattia, né un morente in stato di agonia o pre-agonia.

Il signor Lambert è vivo senz’ombra di dubbio clinico, a pieno titolo come lo siamo noi, un disabile o un anziano non autosufficiente.

Non è possibile dichiararlo morto con il criterio cardiocircolatorio-respiratorio (respira senza assistenza ventilatoria e ha un battito cardiaco spontaneo) e neppure con quello neurologico (non è in stato di “morte cerebrale”). Si può solo farlo morire intenzionalmente attraverso un atto di eutanasia omissiva, sospendendo l’idratazione e la nutrizione necessarie alle sue funzioni fisiologiche essenziali (come alle nostre) dopo averlo sedato in modo profondo perché non abbia coscienza di quanto gli viene fatto e non soffra per la disidratazione e l’inanizione. Ed è quello che hanno chiesto la moglie, alcuni medici (ma non tutti) del CHU di Reims e i tribunali francesi coinvolti, e a cui si sono opposti i suoi genitori, altri parenti e numerosi medici e associazioni francesi.

A questo punto, sono necessari due chiarimenti importanti. In primo luogo l’applicazione dell’eutanasia, già legalizzata (non per questo eticamente lecita) in alcuni Paesi europei – e richiesta anche in Italia da un disegno di legge depositato in Parlamento –  non deve essere confusa con la doverosa rinuncia ad ogni “accanimento terapeutico” che, peraltro, nel caso di Vincent non sussiste affatto, come gli stessi periti medici del tribunale hanno dichiarato.

Inoltre vediamo come purtroppo l’eutanasia non si limiti ai soli “casi estremi” o cosiddetti “pietosi” (ma è vera pietà?) di malati con sofferenze atroci che la chiedono insistentemente e personalmente: può infatti essere sollecitata da terzi – lungo un crinale scivoloso – anche per disabili gravi o persone in condizioni cliniche giudicate “non degne di essere vissute” (chi è autorizzato a dirlo?) che non hanno espresso anticipatamente nessuna volontà in tal senso. È, questo, il caso del tetraplegico francese.

L’esecuzione del protocollo eutanasico è stata sospesa in extremis dalla Corte d’appello di Parigi, recependo così la reiterata istanza della Commissione delle Nazioni Unite che ora esaminerà a fondo il caso di Vincent. La sua vita è nelle mani di Dio ed appesa al filo dell’art. 10 della Convenzione per i diritti delle persone disabili – ratificata anche dalla Francia – che così recita: “Il diritto alla vita è inerente ad ogni essere umano e [gli Stati] prenderanno tutte le misure necessarie ad assicurare l’effettivo godimento di tale diritto da parte delle persone con disabilità su base di uguaglianza con gli altri”.
La Chiesa ha sempre difeso e promosso presso le Nazioni Unite e in ogni sede internazionale i diritti dei più poveri, deboli e indifesi nel mondo. Ora essa guarda con trepidazione e speranza alla decisione della Commissione affinché un figlio suo e dell’umanità intera, Vincent, veda riconosciuto e tutelato il suo inalienabile diritto a continuare a vivere, fino all’ultimo istante, la sua vita. Perché è vita.

(*) Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma)

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