Summit a Bruxelles: dietro le quinte i veri nodi della politica europea

Il Consiglio europeo, riunito per due giorni, affronta ufficialmente vari temi: bilancio pluriennale, riforma dell'Unione economica e monetaria, migrazioni, relazioni esterne, democrazia e fake news. Ma altri nodi s'impongono, a partire da Brexit, manovra finanziaria italiana e "gilet gialli" francesi. Riflettori puntati sulla premier britannica Theresa May, mentre Angela Merkel si defila...

(Bruxelles) C’è l’ordine del giorno ufficiale. E poi c’è il “dietro le quinte”. Ogni Consiglio europeo vive questa doppia identità. Quello in corso – 13 e 14 dicembre – a Bruxelles dovrebbe essere il summit dei capi di Stato e di governo chiamati a discutere del bilancio a lungo termine dell’Unione (2021-2027), di rafforzamento del mercato unico, di riforma dell’Unione economica e monetaria, della risposta alle migrazioni, delle questioni più urgenti di politica estera, con in cima il conflitto Russia-Ucraina e le sanzioni verso Mosca. Ma, come sempre accade, ecco palesarsi le solite “questioni urgenti”, quelle che sorpassano sulla corsia di emergenza, imponendosi nel dibattito politico europeo stravolgendo l’agenda del summit.

Addio senza lacrime. Questa volta – e ancora una volta – è il Brexit che impegna in primo luogo i leader dei Paesi membri. “Vista la gravità della situazione nel Regno Unito, vorrei iniziare dal Brexit”, aveva scritto Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, nell’incipit della lettera di convocazione del vertice. Non sarà sfuggito allo stesso Tusk il mezzo scivolone diplomatico nel definire “grave” la situazione politica interna di un Paese membro. In altre occasioni si sarebbe urlato all’ingerenza, ma stavolta nessuno ha battuto ciglio. Il Regno Unito che ha intrapreso la via del recesso dall’Ue è in panne: la premier Theresa May ha evitato la sfiducia del suo partito, ma per far questo ha dovuto promettere di togliersi di mezzo al più presto e di non ricandidarsi alle prossime elezioni. Per gli stessi Tory è “un male necessario”. E così la premier è arrivata a Bruxelles come un’anatra zoppa, politicamente indebolita, chiedendo che l’Ue le tolga le castagne dal fuoco. Fortuna sua, sta trovando comprensione: quasi tutti i leader hanno affermato la volontà di andare incontro a Londra sulla clausola backstop, riferita alle due Irlande. Ma tutti, proprio tutti, hanno ribadito che l’accordo raggiunto il 25 novembre “non si rinegozia”. Il 29 marzo prossimo il Regno Unito sarà fuori dall’Unione. Nessuno, qui al summit, sembra versare lacrime.

La manovra italiana. Nemmeno troppo “dietro” le quinte c’è poi il caso-Italia. La manovra finanziaria decisa a Roma a ottobre preoccupa l’Ue: nessuno dei partner europeo “vuole pagare il conto” dell’Italia, aveva detto un po’ sgarbatamente il premier austriaco Sebastian Kurz, ottenendo peraltro il sostegno dei partner di Visegrad, del nord Europa, dell’Europa centrale e occidentale. Insomma, Italia isolata. Lo sforamento del deficit del 2,4% è ritenuto “irricevibile” rispetto alle regole europee e soprattutto deleterio per l’economia tricolore e per le tasche degli italiani. È soprattutto il commissario Pierre Moscovici a farsi portavoce della posizione comunitaria (“lo sforzo compiuto dall’Italia è notevole e apprezzabile”, ma “ancora non ci siamo”). Così il governo italiano è chiamato a una sensibile marcia indietro: riportando – promette il premier Giuseppe Conte – il deficit al 2,04% del Pil. Ma già nuove voci, nei corridoi del Consiglio europeo, dicono: “non basta”. Anzi, la posizione più ferma su questo versante è quella dell’italianissimo presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani che, parlando “da politico italiano” (parole sue), afferma: “questa manovra è da riscrivere”.

Vecchi e nuovi protagonisti. Nell’informalità del vertice si palesano altri problemi: il presidente francese Emmanuel Macron sta facendo i conti con la rivolta dei “gilet gialli” e arriva a Bruxelles con promesse di “spese ingenti”, dice, per calmare la rabbia popolare. Spese che porterebbero anche il bilancio francese ben oltre il fatidico 3%. L’Ue chiuderà un occhio? Dal canto suo Angela Merkel arriva al Palazzo d’Europa con stile più defilato del solito. Ha da poco ceduto il timone della sua Cdu, è certo che non si ricandiderà alle prossime elezioni. Insomma, l’era Merkel è al tramonto e questo suggerisce discrezione e prudenza: in sede di summit viene meno un protagonista di lungo corso. I Paesi centro-orientali, invece, guardano con occhio attento al Quadro finanziario pluriennale: Polonia, Repubblica Ceca e amici dell’est sanno bene che la consistenza dei golosi fondi comunitari che stanno aiutando le loro economie a veleggiare dipendono dal Qfp.

Migrazioni e mancate promesse. L’immigrazione è ormai tema derubricato: la riforma di Dublino è rimandata sine die, la ricollocazione dei rifugiati pretesa dal governo italiano non trova alcun riscontro, al più si discute di controllo delle frontiere esterne. E sul piano Marshall per l’Africa ci si rimette alla buona volontà di qualche Paese generoso: “andare alla radice delle cause migratorie” – come s’era detto – prende l’aspetto di una mancata promessa, una chimera. S’impongono infine le preoccupazioni generalizzate sulle elezioni del 2019, tanto che si parla ufficialmente nell’ordine del giorno di “disinformazione politica”: fake news e possibile manipolazione del voto dall’esterno dell’Ue (molti volgono lo sguardo verso Mosca) sono temi che impensieriscono trasversalmente, unendo – almeno in questo caso – leader europeisti e premier eurocritici.

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