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Parità donna-uomo è pilastro per la democrazia. Strasburgo ospita il Forum mondiale

Promosso dal Consiglio d'Europa, il Forum mondiale della democrazia ha per tema quest'anno “Uomo donna: la stessa lotta?”. Un evento che ha portato nella città alsaziana, per tre giorni (fino al 21 novembre), esperti, attivisti, giovani, politici da tutti i continenti. Molte le testimonianze delle differenze, delle discriminazioni e delle violenze che ancora oggi ricadono sull'universo femminile. Claude Chirac parla di “complementarietà, rispetto e armonia”. L'intervento della vice segretario generale CdE, Gabriella Battaini-Dragoni. La terribile vicenda della giornalista giapponese Shiori Ito

La questione è il potere, ma non solo, perché la parità uomini e donne al Forum mondiale per la democrazia che si è aperto a Strasburgo lunedì 19 novembre tocca un’infinità di aspetti. “L’uguaglianza nella rappresentanza politica è una condizione per la democrazia”, ha argomentato Gabriella Battaini-Dragoni, vice-segretario generale del Consiglio d’Europa, elencando alcune cifre che mostrano lo sbilanciamento: le donne alla guida delle più grandi compagnie e aziende in Ue sono il 16%; tra i 193 Paesi membri dell’Onu solo 9 hanno donne a capo dei loro esecutivi; nella costellazione del potere giudiziario le donne giudici sono solo un terzo nelle corti supreme e un quarto nelle corti costituzionali. Ma il punto non è una questione di “quote rosa”: certo il Consiglio d’Europa lo sostiene come strumento perché “sono state adottate in 17 dei nostri Paesi e questi, in termini di equità di genere, risultano avere più successo di quelli che non le hanno introdotte”, ancora Battaini-Dragoni. C’è però chi chiede di andare oltre la parità.

La “complementarietà”. “Faccio fatica con la parola uguaglianza”: parla Claude Chirac di fronte alla platea in emiciclo. È la figlia del presidente francese Jacques. Lei oggi è vice-presidente della fondazione che porta il nome del presidente e che in questi anni ha premiato tante donne per il loro impegno per la pace, perché “il loro ruolo in questo ambito è essenziale”. “Ci sono differenze e specificità” tra uomini e donne; “complementarietà, rispetto e armonia sono parole che mi piacciono di più”. E spiega che “la complementarietà è parte del successo dell’economia digitale perché mette insieme talenti diversi: il digitale rende la collaborazione orizzontale più semplice”. Quanto al rispetto: momenti come quello del movimento “me too”, “oltre la denuncia, ci invitano ad avere più rispetto gli uni degli altri. Se avessimo più rispetto, a prescindere dalle differenze, staremmo meglio”. E infine l’armonia: “è la sola fonte di progresso: essere capaci di vivere insieme fa progredire la civilizzazione”.

Diritti e opportunità. Al tavolo dei relatori anche un uomo, Philippe Muyters, ministro fiammingo del lavoro che ha cercato di spostare il discorso dal genere in sé, ai talenti, affermando che l’anello debole della catena oggi nella nostra parte del mondo è che “ci sono diritti uguali ma non ancora uguali opportunità”. “In un mondo ideale capacità e attitudini sono le uniche caratteristiche che contano e un’equipe bilanciata è l’ottimo, perché la diversità porta enormi vantaggi. Il contrario è il clan. Multidisciplinarietà e differenza sono le cose migliori per affrontare le sfide di oggi”. Quindi la ricetta del ministro Muyters è “essere consapevoli delle differenze e valorizzarle”, qualsiasi esse siano. Ci sono da superare “giudizi consci e inconsci, clichés e stereotipi” perché “dai pregiudizi alla discriminazione il passo è breve. C’è bisogno di un cambio radicale nella cultura” e c’è bisogno di “donne di successo, che siano modelli di ruolo e ispirino altre donne”. La conclusione: “È un peccato che un congresso sulla parità di genere sia ancora necessario nel 2018. ‘Empowering i talenti’ e non ‘empowering le donne’ dovrebbe essere il punto, ma nel frattempo, lavoriamo per le donne” perché “avremo uguaglianza solo quando smetteremo di cercarla fine a se stessa, quando il pensare e l’agire nella diversità saranno naturali e non un obiettivo”.
Violenza e complicità. C’è però un aspetto inquietante e diffuso del discorso sul rapporto tra uomini e donne, ed è quello che c’entra con la violenza, sessuale o psicologica che sia, sulle donne. A darne voce al Forum Shiori Ito, giornalista giapponese che ha raccontato la propria esperienza, quella di essere stata violentata da un collega “giornalista di alto livello” nel 2015, vicenda che l’ha costretta a un “cammino difficile”. Perché la sua richiesta di denuncia è stata respinta dalla polizia; e una volta trovate le prove e i testimoni, il tribunale ha comunque chiuso il suo caso. Senza alcun sostegno, Shiori ha allora scelto la strada della denuncia in pubblico, ma questa scelta è ricaduta ancora su di lei che è dovuta fuggire a Londra per mettere in salvo la propria vita e la propria famiglia. Sei mesi dopo però è cominciato il movimento di denuncia “me too”, il New York Times ha raccontato la storia di Shiori, che è rimbalzata in Giappone. Nel racconto pacato di Ito emergono tanti temi: lo “squilibrio di potere” che spesso esiste tra la vittima e il carnefice, la società giapponese che non protegge le donne, la potenzialità della rete che “permette di far sentire la propria voce, ma dove si viene anche molestati”, la possibilità di “incoraggiarci, raccontarci e sostenerci” che oggi hanno le donne, l’importanza di credere nella verità che le donne raccontano e infine l’“educazione dei bambini e delle giovani generazioni, ma anche dei maschi adulti”.

Contro ogni discriminazione. Sessismo, discriminazione e violenza, seppure si tratti di comportamenti diversi, richiedono tutti impegno non solo passivo (il parlarne), ma attivo, e su più fronti, che Rosemary McCarney, ambasciatrice del Canada presso l’Onu, ha elencato: gli uomini che “devono essere partner nell’impegno”, perché questo genere di violenza non sia più tollerata; educare i piccoli ai propri diritti e alle responsabilità verso i loro coetanei; “stigmatizzare comportamenti negativi e cattive pratiche”; pretendere un “impegno politico al più alto livello” in questa lotta. L’“inclusione è una scelta” ha sintetizzato, che deve fare sentire alle donne che appartengono. O detta con le parole dell’attivista Farrah Khan, “non è questione solo di aprire porte, ma di fare in modo che le donne siano sicure e ascoltate dove arrivano”.

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