Scontri in Francia. Mons. Feillet: “Le buone riforme hanno bisogno di tempo”

Scene di guerriglia cittadina a Parigi durante le manifestazioni e i cortei organizzati dai sindacati per il 1° maggio, la “festa” dei lavoratori. Parla mons. Bruno Feillet, vescovo ausiliare di Reims e presidente del Consiglio episcopale per la famiglia e la società: "Il quadro che abbiamo visto è desolante. La distruzione di beni non ha mai fatto avanzare una causa”. L'appello dei vescovi francesi è alla pace sociale: “Bisogna mettersi tutti attorno ad un tavolo e parlare. Sempre. Bisogna accettare il fatto di darsi maggiore tempo di quello che invece si vorrebbe. È questo quello che la Chiesa chiede e dice: è vero che i problemi sono importanti e gravi, ma non si può sopprimere la discussione con il pretesto dell’urgenza. L’accettazione e la promozione di una buona riforma richiedono anche il tempo della discussione”

Foto AFP/SIR

Con la violenza non si risolvono i problemi del lavoro che sono “gravi e importanti”. Gli scontri non portano da nessuna parte e, in democrazia, l’unica strada da percorrere è quella di riunirsi tutti intorno ad un tavolo di discussione, prendersi del tempo e trovare soluzioni condivise. È un appello alla pace sociale quello lanciato dalla Chiesa cattolica di Francia all’indomani delle manifestazioni a Parigi del 1° maggio.

Scene di vera e propria guerriglia cittadina si sono viste a Parigi durante le manifestazioni e i cortei organizzati dai sindacati per la “festa” dei lavoratori. Un martedì nero per la Francia. Un migliaio di black block si sono scontrati con la polizia, dopo aver lanciato molotov, incendiato auto, distrutto vetrine e devastato un McDonald’s. Gli agenti hanno risposto con lacrimogeni e cannoni ad acqua. Alla fine, 109 sono le persone arrestate secondo la prefettura di Parigi. Raggiunto telefonicamente dal Sir, mons. Bruno Feillet, vescovo ausiliare di Reims e presidente del Consiglio episcopale per la famiglia e la società, condanna le violenze. “La Francia è un Paese democratico e dunque ci si può sempre esprimere in maniera democratica. Voler utilizzare gli strumenti della violenza e di una violenza mascherata, ci dice che questi gruppuscoli di persone vogliono imporre modi di vivere e di lottare che sono al di fuori delle regole della società”. Il vescovo fa notare come questi gruppi sono una esigua minoranza e che a Parigi, per gli scontri ai cortei del 1° maggio, sono arrivati anche da altre parti dell’Europa. “Sanno perfettamente che percorrendo la via della violenza, non vinceranno mai.

Il quadro che abbiamo visto è desolante. La distruzione di beni non ha mai fatto avanzare una causa”.

Sono passati 50 anni dal 1968, l’anno delle grandi rivendicazioni. Oggi la Francia si ritrova a vivere, forse come allora, una primavera caldissima. E i protagonisti sono diversi. C’è il governo che continua a far avanzare le sue riforme, senza tenere conto delle proteste dei suoi oppositori. Ci sono le diverse sigle sindacali che sono divise e ciascuna viaggia sulla propria strada. Ci sono i lavoratori e le proteste nei vari settori. Quelle sì, invece, sono unitarie. Ferrovieri, dipendenti pubblici, pensionati e personale di Air France: la lista delle categorie che anche in questa settimana incroceranno le braccia è lunga e include le principali organizzazioni. Segno di una crisi seria e generalizzata. “I tassi di disoccupazione – spiega mons. Feillet – si stanno lentamente abbassando anche se siamo comunque di fronte a numeri molto alti”. Ciò che preoccupa è la presenza di una “corrente rivendicativa” che attraversa la società francese e si configura come “un movimento ben organizzato e visibile”. “Sulla pertinenza delle rivendicazioni, e sulla maniera di esprimerle, occorre mettere della misura”, dice il vescovo. “Si può comprendere la preoccupazione per l’avvenire, ma bisogna trovare vie per risolvere i problemi. La Chiesa non ha suggerimenti precisi da dare. Osserva e segue la situazione nella ricerca come tutti di trovare soluzioni per migliorare la situazione”.

Mons. Feillet parla di uno stato di stallo tra il governo e i sindacati. “Il governo propone di discutere ma i sindacati chiedono di negoziare. È qui che le due parti non si comprendono. E da qui che viene il conflitto. Il governo chiede di discutere ma dà l’impressione di voler solo informare su quello che verrà messo in atto e sulle modalità con cui le riforme verranno realizzate, mentre i sindacati su queste proposte vorrebbero un margine di negoziazione”. Come venirne fuori? “Bisogna mettersi tutti attorno ad un tavolo e parlare. Sempre. Bisogna accettare il fatto di darsi maggiore tempo di quello che invece si vorrebbe. È questo quello che la Chiesa chiede e dice: è vero che i problemi sono importanti e gravi, ma non si può sopprimere la discussione con il pretesto dell’urgenza. L’accettazione e la promozione di una buona riforma richiedono anche il tempo della discussione”.

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