Con la svolta elettorale, Italia al bivio: dalla fondazione della Cee all’euroscetticismo

Sotto la guida di De Gasperi, Roma fu tra i più convinti sostenitori dell’integrazione europea, un punto fermo della politica tricolore almeno fino agli anni 2000. Ora le forze antiUe prevalgono in Parlamento. Ma per il Paese voltare le spalle a Bruxelles costituirebbe un’avventura. La politica nazionale vista da un commentatore cattolico europeo

Da sinistra: De Gasperi, Adenauer e Schuman. Sotto, il prof. Guido Formigoni. Nelle altre foto, Ursula von der Leyen e David Sassoli, rispettivamente alla guida della Commissione e del Parlamento Ue, e la sede della Commissione europea a Bruxelles (foto SIR/Marco Calvarese)

Dal 2016, tutte le elezioni svoltesi in Europa hanno conosciuto un progresso notevole dei partiti populisti ed euroscettici, anche nazionalisti antieuropeisti. Il 4 marzo in Italia si sono rafforzati, all’interno della coalizione di centrodestra, la Lega e alcuni movimenti estremisti con nostalgie per il regime fascista che si esprimono ormai apertamente. La questione migratoria è stata l’argomento principale di tali movimenti in campagna elettorale, giocando su tutte le paure possibili. Questa coalizione ha avuto il 37% dei voti, sopratutto a favore della Lega che ha superato Forza Italia. Il centrosinistra è caduto al 23%. Al di fuori di tutte le coalizioni, il M5S fondato dal comico Beppe Grillo, si è affermato come il primo partito d’Italia, con più del 32% di voti. I partiti impegnati nella costruzione europea, a destra Forza Italia, a sinistra il Partito democratico, sono crollati. L’avvenire dell’Italia sembra andare verso l’antieuropeismo…

Assistiamo, in tal senso, a una vera svolta, dopo un lungo periodo di consenso europeistico.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’Italia aveva rinunciato alle rivendicazioni nazionaliste e trovato nell’Europa, a partire dal 1948, un nuovo impegno. La scelta europeistica fu un’opzione ideale, sostenuta dai democratici cristiani, con la volontà di liberare il Paese dal suo passato fascista che aveva portato alla guerra. L’europeismo italiano fu propugnato dalla Dc, in particolare dal capo del governo, Alcide De Gasperi, che parlava della “nostra patria Europa”. De Gasperi sostenne con convinzione la proposta di Robert Schuman, di mettere in comune il carbone e l’acciaio. Ci vedeva il mezzo per costruire l’Europa e la pace su basi radicalmente nuove. La firma a Roma, il 25 marzo 1957, dei Trattati fondativi della Comunità economica europea e l’Euratom traduceva la volontà politica dell’Italia.
La scelta europistica era centrale e diventò poco a poco un vero consenso nazionale, con il sostegno, a partire dagli anni ‘80, del Partito comunista sotto l’influenza di Enrico Berlinguer.
Nel dicembre 1993, un sondaggio indicava che l’83% degli italiani vedeva nell’Europa un elemento positivo, prima dell’unità nazionale e del ruolo dello Stato. In un Paese dove l’identità nazionale restava fragile, l’Europa aveva preso l’aspetto di una vocazione.L’Italia, che mai ha cercato di bloccare il funzionamento delle istituzioni europee per favorire i suoi interessi nazionali, ha avuto un ruolo motore per l’adozione delle grandi riforme unitarie, dall’elezione del Parlamento europeo a suffragio universale al Trattato di Maastricht. La sua ammissione nello spazio Schengen e poi l’adozione della moneta unica furono vissute come vittorie nazionali, a prezzo di grossi sforzi, di sacrifici accettati da tutta la popolazione, anche con una vera tassa per l’Europa. Non c’era allora una corrente sovranista significativa.
Anche negli anni 2000, il governo di Silvio Berlusconi ha mantenuto una linea europeistica. Egli si presentava come l’“erede” di De Gasperi, anche se i suoi orientamenti erano più liberali e intendevano principalmente fare posto agli interessi nazionali, con lo slogan, “Più Italia e Più Europa”.
Eppure l’Italia oggi è di fronte al crollo dell’entusiasmo europeistico.
Forse gli italiani hanno chiesto troppo all’Europa? Dopo averne ricevuto molto, di fronte a nuove sfide, di fronte a nuove paure legate all’arrivo di migranti venuti in particolare dall’Africa, e alla globalizzazione, l’Europa non sembra più un’evidenza.

Al contrario. Oggi l’idea di Europa conosce un rigetto potente in un Paese che ne fu tra i sostenitori più entusiasti.

Infatti uno dei Paesi europei più eurofili raggiunge primati d’euroscetticismo: secondo l’Eurobarometro del 2017, il tasso di opinione euroscettica sarebbe passata, in Italia, dal 29% del 2012 al 46% attuale. L’Italia è segnata dal problema dell’immigrazione con rilevanti arrivi non controllati: attorno a 200mila sbarchi nel 2016, 630mila tra 2014 e 2017. Sopratutto si trova in prima linea, con il sentimento non soltanto di non avere nessuna solidarietà da parte degli altri Paesi né dalla Commissione europea, ma di essere lasciata sola di fronte a difficoltà non controllate dai poteri pubblici. Il fatto – cui si aggiungono le disfunzioni istituzionali, le difficoltà economiche, la disoccupazione – porta all’indebolimento dei partiti democratici europeisti e al progresso dell’opinione pubblica dei movimenti estremisti, nazionalisti o etnonazionalisti, e dei discorsi populisti, demagogici e xenofobi. L’esaltazione della paura è presente.
L’italia potrebbe trovarsi a un bivio: proseguire sulla strada aperta dopo la fini della guerra, o prendere la via dell’avventura voltando le spalle all’Europa.

Altri articoli in Europa

Europa

Informativa sulla Privacy