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Itinerari culturali per scoprire l’Europa. Territori, storia, arte sacra svelati da un turismo alla portata di tutti

Dal Cammino di Santiago alla Via francigena, dall'art nouveau alle strade della vite e dell'olio. E poi le città termali, le grandi cattedrali, gli angoli più suggestivi del continente... Un terzo delle proposte è a carattere religioso. Un programma promosso dal Consiglio d'Europa che si incrocia con l'Anno del patrimonio proclamato dall'Ue. E all'accordo ora aderisce anche la Santa Sede

Ha appena compiuto trent’anni il programma degli Itinerari culturali, iniziativa del Consiglio d’Europa che invita a scoprire il continente attraverso la trentina di proposte che sono state “certificate” dal 1987 ad oggi. Sulla carta culturale dell’Europa oggi figurano 31 tracciati: percorsi lineari, come i cammini (dal Cammino di Santiago di Compostela, primo itinerario certificato nel 1987, alla Via francigena, all’itinerario San Martino di Tours); oppure dedicati al paesaggio o alle caratteristiche delle aree geografiche, come l’itinerario dell’ulivo o della vite. O ancora itinerari reticolari, come quello della lega anseatica nel nord Europa, oppure dell’art nouveau, o delle città termali storiche. “Ogni itinerario è un’associazione di membri, con attività, statuti, programmi ben precisi, che si rivolgono alla totalità della rete. Non sono itinerari virtuali ma programmi reali, carichi di vita”, sottolinea Stefano Dominioni, segretario esecutivo dell’Accordo parziale allargato sugli Itinerari culturali del Consiglio d’Europa (Ape) e direttore dell’Istituto europeo degli itinerari culturali, agenzia tecnica basata a Lussemburgo che ne consiglia e supporta lo sviluppo. Uno dei compiti dell’istituto è verificare che i progetti di itinerari interessati a ottenere la certificazione rispondano ai criteri definiti nella risoluzione del Consiglio d’Europa del 2013 e accompagnarli in tale processo. L’istituto, che nel 2018 compie vent’anni, si occupa anche di dare visibilità al programma con varie iniziative e gestisce una rete di università interessate allo studio interdisciplinare degli Itinerari culturali. Di pochi giorni fa la notizia che nella riunione del Consiglio di direzione del programma, che si tiene il 18-19 aprile in Lussemburgo, la Santa Sede aderirà ufficialmente e formalmente come membro all’Accordo parziale allargato, diventandone il trentaduesimo membro.

Quale bilancio si può tracciare dei trent’anni del programma del Consiglio d’Europa?
È un bilancio in costante crescita. Gli Itinerari hanno contribuito alla protezione, alla promozione e alla messa in valore del ricco e diverso patrimonio culturale europeo. Sono stati promotori di dialogo interculturale, della diversità culturale e di cittadinanza democratica attiva e recentemente identificati come strumento per la promozione di un patrimonio autentico e vicino alle necessità e ai valori delle comunità locali anche con l’obiettivo di fungere da motore socioeconomico per lo sviluppo dei territori. È un’iniziativa in costante aumento con un’espansione numerica, geografica, territoriale delle certificazioni rilasciate.

Cosa significa ricevere la certificazione?
Esiste un ciclo di certificazione, che si basa su cinque criteri generali, sulla cui base avvengono le valutazioni dell’Accordo parziale del Consiglio d’Europa sulla base dei rapporti di esperti internazionali indipendenti: il primo criterio è avere un minimo di tre Paesi rappresentati sull’itinerario; occorre una struttura associativa legale; una partecipazione a livello locale e regionale di enti pubblici e privati, municipalità locali e regionali; una vita associativa attiva con iniziative culturali, di turismo creativo ed educative per i giovani, e che coinvolgano piccole e medie imprese; infine visibilità. Il Consiglio di direzione del Programma delibera sulla certificazione delle proposte e valuta triennalmente se gli itinerari certificati adempiono ancora ai criteri. Per il ciclo di certificazione 2018/2019 ci sono due itinerari culturali candidati: la Via di Carlo Magno e l’Itinerario degli impressionisti.

Ci sono parti della cartina europea meno tracciate?
Guardiamo con attenzione all’Europa dell’est e del sud-est, dove l’interesse per gli itinerari è sempre più vivo e sempre maggiore è la voglia della società civile di organizzarsi in reti. Di recente in Montenegro abbiamo discusso l’adesione all’itinerario della vite e a quello dell’ulivo e dimostrato interesse per la rete dell’art nouveau cercando di sostenere lo sviluppo di itinerari locali in una visione sempre europea. Anche la Georgia ha recentemente aderito al Programma con l’adesione a Itinerari culturali quali l’Itinerario europeo del patrimonio ebraico, delle città termali storiche e dell’arte rupestre. Sono solo due esempi del successo crescente del nostro Programma. Del resto la filosofia è quella di far conoscere il patrimonio anche in destinazioni minori mettendolo in evidenza con questo approccio reticolare, inclusa la tradizione arabo-musulmana di Al-Andalus nella penisola iberica.

Sono 11 gli itinerari con chiaro riferimento religioso: è interessante il dato in un contesto politico che si vuole laico e in una società europea sempre più secolarizzata…
L’aspetto religioso è un elemento fondamentale del continente, in tutte le sue declinazioni nazionali, nelle diverse epoche storiche, nella diversità culturale delle tradizioni. E gli itinerari ritracciano questa storia, con un approccio storico-scientifico: le abazie cistercensi, san Martino di Tours, il patrimonio ebraico europeo, i siti cluniacensi, l’itinerario dei valdesi e ugonotti… Per il Consiglio d’Europa è anche uno strumento di dialogo interculturale e interreligioso, che dà spazio a tutte le voci della storia religiosa d’Europa.

Come vi collegate all’Anno europeo del patrimonio culturale?
L’Istituto detiene la capacità di labellizzare Anno europeo del patrimonio le attività degli itinerari. Il nostro contributo specifico è la dimensione europea di queste iniziative, perché non sono solamente viste in chiave nazionale, come molti eventi dell’Anno: una iniziativa in Francia legata a san Martino di Tours coinvolge altri eventi che si svolgono in Italia, Germania o Ungheria. L’attività della rete Transromanica in Germania e Portogallo porta con sé attività in Italia. Anche le Giornate europee del patrimonio, parte integrante delle attività del Consiglio d’Europa, sono integrate nell’Anno europeo del patrimonio.

I populismi e le spinte disgreganti sono forse i primi nemici del vostro programma. Come reagite?
Il nostro messaggio è mettere in evidenza lo spirito e la missione europeista e l’importanza di continuare a riaffermare l’identità condivisa, quella base comune, legata ai valori che riaffermiamo, al di là delle differenze storiche. Il nostro è un modo per continuare anche a livello locale e regionale a nutrire questo legame comune, questo tessuto che unisce popoli anche lontani. Puntiamo molto sulle attività pedagogiche e alla mobilità dei giovani, per essere in controtendenza con questa situazione difficile che sta vivendo l’Europa oggi. In un’Europa divisa a livello ideologico e politico, la Dichiarazione di Santiago de Compostela del 1987 segnava la nascita di un Programma che aveva l’obiettivo di unire, creare ponti tra Paesi in uno spirito di condivisione. Il messaggio è ancora molto attuale.

Fare il turista in Europa è diventato un lusso in questi anni: anche qui siete in controtendenza?
La maggior parte dei nostri membri associativi si trova in zone rurali. Il nostro è un turismo culturale legato al territorio, lento, aperto a fasce della popolazione con tempi e risorse economiche molto diverse, con uso di trasporti “low cost”, dai piedi alle biciclette ai mezzi pubblici, e con alloggi a prezzi contenuti. I cammini si possono cominciare anche “fuori della porta di casa”. Questa è anche l’idea del programma: aprire il turismo culturale a una fascia più ampia della popolazione in un contesto economico difficile e utilizzare i cammini per arrivare a destinazioni con grandi patrimoni culturali meno noti al grande pubblico, perché in zone poco conosciute.

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