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Per 6 anni alla guida della Comece. Card. Marx all’Unione europea, “coraggio e speranza!”

“Coraggio e speranza”. Queste le due parole-chiave che il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga e presidente della Conferenza episcopale tedesca, lascia alle Chiese in Europa alla fine del suo mandato di 6 anni alla guida della Comece, la Commissione degli episcopati dell'Unione Europea. In questa intervista al Sir, l’arcivescovo traccia un bilancio di questi anni vissuti nel cuore dell’Europa. Tra populismi, Brexit e crisi migratoria. “La Chiesa - dice - deve essere segno di speranza. È quanto più volte viene detto nella Bibbia. Non abbiate paura”

(da Bruxelles) Ha guidato per sei anni la Comece, la Commissione degli episcopati dell’Unione Europea. In questi giorni il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga e presidente della Conferenza episcopale tedesca, si trova a Bruxelles dove oggi i vescovi Ue eleggeranno un nuovo presidente. Il cardinale è stato protagonista di una stagione europea ricca di novità e sfide, attraversata in questi anni dal “vento” di Papa Francesco che all’Europa, nonostante gli esiti della Brexit e le vittorie elettorali dei partiti populisti e anti-europei, ha sempre creduto: alle istituzioni europee, il Papa ha dedicato uno dei suoi primi viaggi apostolici, andando a Strasburgo (2014); ha rivolto cinque discorsi e, per due volte, i leader europei sono stati suoi ospiti in Vaticano, prima in occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma e poi per l’incontro nell’Aula del Sinodo “(Re)thinking Europe”. Il Sir ha incontrato il cardinale ed ha ripercorso la storia di questi sei anni vissuti nel cuore dell’Ue.

Sei anni come presidente. Quali sono stati i momenti più belli?
In realtà ce ne sono stati molti e non uno solo. Ma credo che l’incontro nella Cappella Sistina, in occasione del 60° anniversario dei trattati di Roma, rimarrà come una immagine indelebile: vedere i capi di Stato con il Papa e dietro il Giudizio Universale di Michelangelo è stato un momento grande che ha ispirato il mio impegno per l’Europa.

In che modo?
Ad andare avanti. Perché il giudizio finale non è una minaccia o qualcosa di negativo, ma un invito a prendersi le proprie responsabilità e una esortazione ad andare avanti.

Cristo viene incontro a noi dal futuro, non dal passato.

E il momento più critico?
Sono triste quando vedo che l’importanza dell’Unione europea per il progresso e la pace non viene riconosciuta, anche da alcuni membri della Chiesa. L’Unione nasce perché le nazioni hanno deciso, liberamente e senza alcun obbligo, di unirsi, di lavorare insieme, di cooperare per la pace, di dare – come diceva Jean Monnet – un contributo per un mondo migliore.

Immaginavo che lei indicasse come momento più critico il risultato della Brexit, il referendum che ha portato il Regno Unito fuori dall’Unione europea.
Certo. Anche il referendum è stato il risultato del fatto che molte persone in Inghilterra non sono state più in grado di vedere nell’Unione europea un fattore di progresso positivo per la loro vita. È triste constatarlo ma è stata una libera scelta. Evidentemente l’Unione europea non è riuscita a far conoscere i suoi sforzi politici ed economici. E questo per il futuro è un monito importante per andare avanti.

Cosa indica?
Non tutte le Regioni in Europa hanno le stesse esperienze di progresso e la stessa idea di partecipazione. Questa è una grande sfida per il futuro, tutti devono avere le stesse opportunità di futuro e progresso.

Le disuguaglianze sono una delle ragioni per cui i partiti populisti stanno avendo molta fortuna oggi.

In effetti una delle grandi sfide in Europa è la crescita dei populismi. In Italia, domenica scorsa, a vincere sono stati partiti che cavalcano le idee populiste. Cosa ne pensa?
È una sfida comune a tutta l’Europa. Le ragioni? Ce ne sono molte ma una mi sembra essenziale: l’Unione europea deve rappresentare una opportunità per tutti e un motivo di crescita per la vita quotidiana delle persone. Perché una delle ragioni, su cui i populismi fondano il loro successo, risiede nella crisi finanziaria.

I populismi cavalcano la crisi migratoria. Sui migranti i partiti vincono le elezioni.
La crisi migratoria è uno dei punti ma non credo sia la ragione. Abbiamo conosciuti i populismi molto prima di questa crisi. Se poi sui migranti si vincono le elezioni, credo dipenda dal fatto che sulle migrazioni è facile semplificare il discorso politico. Negli ultimi dieci anni, il dibattito è diventato sempre più negativo, impregnato di odio, attraversato anche da informazioni alterate. Abbiamo ascoltato discorsi che fomentano le tensioni anziché placarle.

La crisi migratoria è un discorso che facilmente catalizza l’attenzione dell’elettorato. È individuare un capro espiatorio e semplificare problemi estremamente complessi in un unico punto catalizzatore. Questo è il populismo.

Se questo è il contesto, qual è il ruolo della Chiesa in Europa?
Essere uno spazio di dialogo. E guardare ai fondamenti della nostra vita e del nostro stare insieme. I fondamenti sono quelli indicati nel Vangelo ma sono validi per tutti, non solo per i cristiani perché affermano che ogni essere umano è stato creato ad immagine di Dio e pertanto siamo tutti uguali, abbiamo tutti la stessa dignità e questo vale sia per chi arriva nelle nostre terre come rifugiato sia per chi vive nell’Unione europa. I nazionalismi: non si può affermare che una Nazione è superiore ad un’altra. Non è cattolico. La Chiesa quindi ha per missione, soprattutto qui in Europa, quella di mettere insieme le persone e mostrare che è possibile vivere insieme con le differenze. Il nostro incontro a Roma – (Re)thinking Europe – ha rappresentato in qualche modo un modello di quello che la Chiesa può essere e fare in Europa. Non abbiamo risposte a tutte le questioni politiche ma possiamo dire: parliamone insieme, è possibile trovare vie di dialogo ma per riuscirci dobbiamo essere aperti agli altri e non solo interessati al “mio Paese, prima” (“My Country, first”).

Gli europei hanno paura. L’altro è visto come una minaccia, non come una opportunità.
Paura e, soprattutto, sfiducia. Come cristiani noi crediamo che questi siano sentimenti ispirati dal demonio, dal male. Per me è chiaro, perché il demonio non vuole che le persone siano unite, siano in comunione tra loro ma lavora per dividere. Per questo dico che la Chiesa deve essere segno di speranza. “Non abbiate paura”. Ero un giovane seminarista quando Giovanni Paolo II pronunciò quelle parole ad inizio del suo Pontificato. Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo. E quelle parole furono l’inizio di una delle più grandi rivoluzioni della storia moderna.

Lei è nel Consiglio di cardinali voluto da Papa Francesco. Cosa dice il Papa a proposito di Europa?
Dopo la sua elezione, non si sapeva se questo Papa volesse viaggiare ma noi, come Comece, lo invitammo a visitare l’Unione europea: per favore – gli dicemmo – venga nelle istituzioni europee. Gliel’ho chiesto due volte. E poi decise di andare a Strasburgo e all’aeroporto, prima di ripartire, mi disse: è stata una tua idea! I suoi discorsi sono sempre stati ispirati e i leader europei hanno bisogno di ascoltare parole di incoraggiamento. Il Papa vede tutte le criticità di questo momento storico ma incoraggia ad andare avanti, a vedere le opportunità non solo i rischi.

È un invito ad avere fiducia nelle capacità dei popoli europei a stare insieme e lavorare per la gente.

 

Quale parola lascia alla nuova presidenza della Comece?

Coraggio e speranza.

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