Quote latte, gli errori di trent’anni fa si pagano ancora oggi

Il conto ultimo ammonta a un miliardo e 343 milioni di euro che in effetti l’Italia ha già pagato all’Europa, ma che i governi dovevano far pagare a chi effettivamente è stato responsabile degli sforamenti dei limiti produttivi e non a tutti noi. La Corte di Giustizia dell’Ue ha dichiarato infatti il nostro Paese “inadempiente sulle quote latte, in quanto non ha fatto in modo che il prelievo supplementare fosse a carico degli effettivi responsabili della sovrapproduzione tra il 1995 e il 2009”

L’ultima batosta è arrivata qualche giorno fa: 1,343 miliardi di euro da recuperare. Lo ha sancito la Corte di giustizia europea nei confronti dell’Italia giudicata “inadempiente”. Oggetto della discordia il latte. O meglio, l’eredità ancora pesante delle quote latte, cioè dei tetti alla produzione che l’Europa aveva posto nel 1984 e che sono state aboliti nel 2015.

Vicenda triste e a tratti violenta, quella della gestione delle quote latte in Italia ha caratterizzato oltre trent’anni di storia agricola, economica e politica nazionale. Un racconto tutto sommato triste fatto di malapolitica, di disattenzioni, di superficialità che, appunto, ancora oggi pesa sul settore, nel frattempo notevolmente ridimensionato e cambiato.

Il conto ultimo, come si è detto, ammonta a un miliardo e 343 milioni di euro che in effetti l’Italia ha già pagato all’Europa, ma che i governi dovevano far pagare a chi effettivamente è stato responsabile degli sforamenti dei limiti produttivi e non a tutti noi. La Corte di Giustizia dell’Ue ha dichiarato infatti il nostro Paese “inadempiente sulle quote latte, in quanto non ha fatto in modo che il prelievo supplementare fosse a carico degli effettivi responsabili della sovrapproduzione tra il 1995 e il 2009”. Vista la situazione la giustizia europea ha chiesto esplicitamente che il costo “sia effettivamente imputato ai produttori che hanno contribuito a ciascun superamento del livello consentito di produzione”. È in qualche modo il passato che torna presente. E che sembra quasi aver spiazzato il nostro Governo. “È una questione molto delicata. Noi ci stiamo lavorando dal 2014”, ha precisato il ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina, che ha aggiunto: “Da tre anni abbiamo strutturato un percorso molto serio che, in qualche modo accompagna questa vicenda rispettando le regole e offrendo agli allevatori dei percorsi di uscita da una questione molto dolorosa”.

C’è da dire che il Governo comunque non è stato fermo, visto che l’Agea (l’Agenzia che si occupa dell’erogazione dei pagamenti in agricoltura ma anche delle riscossioni), ha già avviato le procedure di richiesta ai singoli allevatori; anche se solo per una parte dell’importo chiesto, 459 milioni non risultano ad oggi esigibili a causa del protrarsi dei contenziosi. La Corte però è stata inflessibile: la sua decisione è stata provocata, si legge nella sentenza, dal “non avere predisposto, in un lungo arco temporale (oltre 12 anni), i mezzi legislativi ed amministrativi idonei ad assicurare il regolare recupero del prelievo supplementare dai produttori responsabili della sovrapproduzione”.

Ma che cosa è accaduto?
Il meccanismo delle quote latte è stato costruito nell’84 sul modello di quello dello zucchero. Anche allora alla base c’erano i soldi. Troppi quelli spesi per conservare migliaia di tonnellate di burro frutto della eccessiva produzione di latte. La soluzione adottata consisteva in tetti produttivi (le quote) che se oltrepassati facevano scattare a carico degli allevatori un prelievo finanziario (la “multa”), per ogni chilogrammo di latte prodotto in più. Gli acquirenti di latte (latterie e caseifici), dovevano esercitare il ruolo di sostituti d’imposta. Controllando il flusso di consegne, i trasformatori, nel momento in cui la quota veniva superata, dovevano trattenere il prelievo dall’importo periodicamente pagato agli allevatori. Non avvenne sempre così. Ma

l’Italia fece anche un errore iniziale chiedendo una quota di produzione troppo bassa rispetto alla situazione reale.

La troppa produzione, il comportamento non sempre limpido e lineare di chi doveva gestire tutto, l’emanazione di norme contraddittorie e non chiare, l’inquinamento da parte di una brutta politica fecero il resto. Le uniche soluzioni erano abbattere la produzione oppure acquistare quote da altri, a suon di milioni di lire. Iniziarono a fioccare multe miliardarie che non vennero pagate che in parte. Esplose la “guerra del latte” con il prodotto versato in strada e blocchi delle principali vie di comunicazione (famoso è rimasto quello di viale Forlanini a Milano che ostacolò per giorni la funzionalità dell’Aeroporto di Linate). “Errori, ritardi e compiacenze”, dice oggi Coldiretti, hanno “danneggiato la stragrande maggioranza degli allevatori italiani che si sono messi in regola ed hanno rispettato le norme negli anni acquistando o affittato quote per un valore complessivo di 2,42 miliardi di euro”.
Il settore ne uscì profondamente ristrutturato e ridimensionato: trent’anni fa le stalle erano 180mila, oggi sono circa 32mila. Tutto fino alla decisione di smantellare il meccanismo scattata appunto nel marzo 2015. L’altro ieri forse l’ultimo atto: 1,343 miliardi ancora da recuperare.

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